Il “mare” di Rumiz va in scena alla Scala di Milano: gli strumenti realizzati dalle barche dei migranti
Debutta il concerto “Metamorfosi” con gli strumenti musicali realizzati dalle barche dei migranti

Hanno dentro il ribollire del mare in burrasca, i garriti dei gabbiani che annunciano l’avvicinarsi della costa, il ruggito delle onde che s’infrangono sugli scogli e i suoni di una terra ormai lontana, che ci si è lasciati alle spalle nella speranza di costruirsi, in un altro luogo, un futuro migliore.
Sono violini, viole, violoncelli e contrabbassi costruiti con il legno delle barche che, cariche di migranti, sbarcano quotidianamente sull’isola di Lampedusa, l’avamposto di un’Europa che col passare del tempo si fa sempre meno accogliente.
Per loro lunedì 12 febbraio, alle 20.30, ci sarà un approdo speciale: saliranno su uno dei palchi più noti al mondo, la Scala di Milano. E finiranno nelle mani di grandi musicisti: i violoncellisti Mario Brunello e Giovanni Sollima e il violinista Gills Apap, che suoneranno insieme agli strumentisti dell’Accademia dell’Annunciata, diretti da Riccardo Doni, a comporre una grande “Orchestra del Mare”.
Così diversi, con le loro incrostazioni salmastre, la vernice e le crepe, dal pregiato legname di abete e acero che s’impiega di norma in liuteria, questi legni sono l’esempio concreto di una trasformazione, avvenuta grazie a mani sapienti e pazienti, che hanno saputo restituire nuova vita a legni sfiniti dal mare, dal vento e dalla fatica di viaggi interminabili. Le mani che hanno ridato loro nuova vita appartengono ad Andrea e Claudio, che si occupano di smontare pezzo a pezzo le barche, e a Nicolae e Federico, che con quei pezzi di legno costruiscono i violini: sono quattro detenuti del penitenziario milanese di Opera che, sotto la guida di maestri del mestiere, sono diventati liutai.
Si intitola “Metamorfosi” il progetto da cui nasce questo speciale concerto, ed è stato ideato dalla Fondazione “Casa dello spirito e delle arti” per offrire una possibilità di riscatto agli “scartati” da questa società: migranti, emarginati, detenuti.
«Nel carcere di Opera è in funzione dal 2012 una liuteria - racconta Arnoldo Mosca Mondadori, anima della Fondazione -, dove con l’aiuto del maestro Enrico Allorto e di altri liutai un piccolo gruppo di detenuti lavora alla costruzione di violini, per poi donarli ai ragazzini rom che al Conservatorio non possono permettersi di acquistare uno strumento.
Nell’inverno del 2021, in piena pandemia, tormentato dal dramma dei migranti, tornai a Lampedusa e portai da lì alla liuteria del carcere alcuni legni di barche usate per le traversate del Mediterraneo: ne nacque un primo violino, che suonava in modo toccante. Da qui l’idea di dare vita a un’intera orchestra, che si amplierà ancora, grazie a nuovi strumenti provenienti dal carcere di Secondigliano, dove c’è un altro laboratorio».
L’iniziativa alla Scala andrà a finanziare questi laboratori: si chiama Metamorfosi, sottolinea Mosca Mondadori, perché nasce da un duplice interrogativo: «Perché su quella barca c’erano loro e non io? E perché in carcere ci sono loro, e non io? Se fossi nato in quel contesto di degrado e violenza magari avrei fatto peggio di loro...».
Sarà Paolo Rumiz a introdurre il concerto, che si avvarrà della scenografia di Mimmo Paladino, l’autore della “Porta d’Europa” che a Lampedusa ricorda tutti i migranti caduti in mare. Lo scrittore triestino leggerà un suo breve racconto, “La memoria del legno”, interpretando la voce dell’albero con cui sono stati realizzati gli strumenti che suoneranno.
«A parlare sarà il legno con cui è stato costruito lo scheletro delle barche: in origine era un albero proveniente dall’Africa equatoriale, l’Azobè, detto anche legno di ferro perché resiste agli insulti del tempo - spiega Rumiz -. Sarà lui a narrare le sue quattro metamorfosi: da albero a barca da pesca, quindi traghetto di migranti e, oggi, strumento musicale».
«E alla fine del racconto - continua Rumiz - si rivolgerà al pubblico, dichiarando che è tempo che questa musica canti con la voce di tutti coloro che sono rimasti sepolti sui fondali o che sono stati respinti, e che chieda perdono per negrieri e necrofili, e per quelli che hanno dimenticato di avere avuto dei padri emigranti. La vecchia barca si caricherà anche Giuda sulle spalle, e prometterà di non essere più sarcofago, ma culla».
Si tratta di un testo che segna la prosecuzione dell’ultimo libro di Rumiz, “Canto per Europa”, in cui racconta il mito di una ragazza che arriva via mare in Occidente: «Da questo punto di vista Trieste è emblematica, perché siamo il punto più a nord del Mediterraneo, mare di migrazioni, e il punto d’arrivo della rotta balcanica: non possiamo proprio ignorare quanto succede. E certamente dire che siamo figli di emigranti, in questo momento politico, è una provocazione necessaria», chiosa Rumiz.
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