Il pianoforte più famoso al mondo compie 40 anni: dentro il mondo della Fazioli, musica e impresa in armonia con la tecnica

SACILE. Pianista, ingegnere, imprenditore. Da quarant’anni Paolo Fazioli tiene con successo in equilibrio queste tre anime, le stesse a cui attinge quando è ora di collaudare, prima della vendita, uno dei suoi pianoforti. «Li provo personalmente: solo quando sono sicuro che possano lasciare l’azienda, metto la mia firma» spiega Fazioli. Un nome che negli anni è diventato sinonimo di eccellenza italiana tanto da vantare tentativi di imitazione. Ma, anche se è stato necessario aumentare le misure di sicurezza anti plagio, la fabbrica di Sacile non ha subito battute d’arresto neppure durante la pandemia.
Ingegnere, il 2020 è stato un anno difficile per molti: è così anche per Fazioli?
«Nonostante tutto, i pianoforti si vendono lo stesso. Anzi, in certi casi anche di più: il lockdown ha evidenziato l’importanza della casa e di tutto quello che può servire a trascorrere il tempo. Il 2020 ha ridotto un po’ il giro di affari perché siamo rimasti chiusi per un mese ma ci siamo ripresi abbastanza bene. I nostri clienti sono stati per la maggior parte privati mentre la committenza professionale per forza di cose si è ridotta».
Il vostro è un prodotto senza tempo. La scelta ha pagato?
«Direi di sì».
Tanto che vi copiano?
«Succede sempre più spesso. Cercano di registrare marchi il suo suono si avvicina al nostro. Anche nel campo dell’abbigliamento, mentre noi facciamo pianoforti. Spesso ci vengono richieste visite da parte di gruppi, tecnici, studenti. Ora abbiamo preso un po’ le misure».
D’altra parte ormai siete diventati uno status symbol. Un vostro strumento è comparso anche nel film “50 sfumature di grigio”.
«Sono andati in negozio, l’hanno affittato e usato. Io l’ho saputo solo a posteriori, dagli amici. E comunque non è stata l’unica pellicola».
Un risultato complessivo raggiunto grazie a scelte precise, come quella di restare in Italia quando la delocalizzazione era invece prassi comune. Le è costata?
«Direi di sì. Se le stesse energie le avessimo messe in un altro paese avremmo avuto risultati maggiori. Ma cambiare nazione sarebbe stato un tradimento rispetto a quello che noi ci eravamo riproposti fin dall’inizio: e cioè un pianoforte italiano, con un nome italiano, con manodopera e teste italiane. Nelle assunzioni cerchiamo di privilegiare persone del posto, giovani. Abbiamo un turnover molto basso. Chi viene qui ci resta per sempre».
Quasi una concezione alla Adriano Olivetti. Questo radicamento le consente anche di seguire il pianoforte da quando nasce a quando lascia la fabbrica.
«Dalla prima pietra, cioè i primi componenti, fino alla fine del processo passano due anni. Naturalmente non sono continuativi: abbiamo un grande magazzino di semilavorati che ci consente di poter mantenere il ciclo».
E quando arriva questo momento come si sente?
«Ogni strumento ha una documentazione che ne contiene la storia e i dati tecnici. In fondo c’è la firma del collaudatore, che sono io. Li provo tutti in sala da concerto».
Ha un brano particolare che suona durante la prova?
«Sono un pianista, ho un piccolo repertorio in mente composto da vari autori che mi permettono di capire come lo strumento reagisce ai vari stili. Il collaudo finale è un momento particolare, decisivo. Ma mi piace anche avere rapporti con gli artisti che giravano numerosi prima del Covid. Anche io viaggiavo molto, ero fuori dall’Europa una volta al mese. Ora ci incontriamo via computer».

E dopo tutto questo “investimento emotivo”, come si è sentito quando il pianoforte di Angela Hewitt si ruppe durante un trasporto?
«Sono quei momenti in cui vorresti in un secondo sapere tutto e non lo sai. Avere tutte le informazioni su come si fosse verificato è stato un lavoro estenuante. Si poteva sistemare ma non sarebbe stato più “quel” pianoforte: un artista di quel livello vuole qualcosa di perfetto, come chi corre in Formula Uno».

Lei è riuscito a coniugare passione e lavoro. Si sente più pianista, ingegnere o imprenditore?
«Certamente se non fossi stato pianista questo lavoro non me lo sarei neppure inventato. Le conoscenze tecniche sono state un aiuto fantastico per risolvere determinati problemi. L’essere imprenditore è un pallino che viene dalla mia famiglia. Forse è andata così perché questi tre aspetti sono in equilibrio».
Si è definito una persona tenace. Un suo difetto?
«Ne ho molti: su tutti, faccio fatica a dire di no».
Ha altre passioni?
«Leggo. Nuoto, più per una questione di benessere. Ma soprattutto ho questo lavoro, che ha molteplici sfaccettature. Entro in fabbrica alle 8.30, la sera prima delle 19 non esco mai. Novità, esperimenti, ricerche: c’è sempre da fare».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto