Il racconto della magia delle Alpi Giulie: la storia di un’ascesaa in solitaria
La genesi di un’impresa in prima persona nel libro di Murtas “Là dove nasce il silenzio” debutterà a Cividale il 20 marzo

Questo libro racconta una storia fuori dall’ordinario che è o, una storia di tenacia e forza d’animo, di amore per la bellezza, per l’essenza più profonda dell’alpinismo e per la ricerca del sé.
Ma non si tratta di un libro per addetti ai lavori, o meglio non è solo un libro per chi pratica alpinismo e arrampicata, anche se di quelle magnifiche attività “elettive” restituisce tutto il portato di meraviglia, dipendenza e coinvolgimento totale.
Là dove nasce il silenzio. Storia di una meravigliosa ossessione (edizioni Nota, 2025, 15 euro) dell’autore Giuseppe Murtas, nativo di Arbus in provincia di Cagliari, residente da sempre nel Cividalese, professione restauratore), racconta in prima persona, a quarant’anni di distanza dai fatti accaduti, della magnifica ossessione per una parete di roccia delle Alpi Giulie che è un’icona venerata con rispetto da tutti gli alpinisti, sia da quei pochi che l’hanno salita, sia da quelli che vorrebbero salirla e la ammirano estasiati solo dal basso.
È la parete Nord del Piccolo Mangart di Coritenza, sopra i frequentatissimi Laghi di Fusine, connotata da uno spettacolare diedro che la incide per novecento metri di dislivello, percorso interamente per la prima volta nel settembre del 1970, in cordata, dall’alpinista triestino Enzo Cozzolino, da cui prende il nome: il Diedro Cozzolino. Murtas riuscì a salire nel 1982 il diedro in solitaria, in free solo, ovvero senza l’uso della corda: e fu il secondo assoluto in questa “performance”, dopo l’exploit del più famoso alpinista pontebbano Ernesto Lomasti, che lo aveva salito così nel 1977.
Il tempo impiegato da Murtas nel compiere quella scalata fu di due ore e mezza, sei metri al minuto, dopo sette anni di meticolosa preparazione. Il suo racconto di quei fatti lontani – a quell’epoca era ventottenne – conserva la freschezza delle sensazioni provate, appiglio dopo appiglio, e restituisce tra le righe la filosofia profonda sottesa al viaggio umano verso l’esplorazione del sé negli anni.
Avvincenti i passaggi del libro nei quali l’autore trasmette il suo senso “panico” per la natura e la parete diventa elemento vivo, anzi “soffio vitale”, con il quale fondere la propria piccola umanità, una volta accolti tra le sue pieghe, dopo aver superato tutte le paure. Divino e umano si compenetrano poco a poco in un processo di meditazione, quello necessario all’autocontrollo nelle situazioni difficili, nel silenzio della mente.
«Ho portato il mio corpo, la mia mente ad oltrepassare quella barriera psicologica che paralizza la nostra volontà, sono riuscito ad entrare in un’altra dimensione, di atarassia, impassibilità, imperturbabilità, sono immerso in questo enorme mare argentato, ne faccio parte». Il libro è dunque molto di più della restituzione di una eccezionale impresa rievocata a distanza di tanti anni e di una carriera alpinistica interrotta da un tragico incidente, accaduto qualche tempo dopo durante una ripetizione solitaria di una via di Fonasti sulla stessa montagna.
L’incidente venne superato, ma negli ultimi anni è arrivato il Parkinson, definito l’“amico” sleale che ha rimpiazzato l’amico vero di una vita, Guido, compagno di cordata fidato.
L’impresa più grande è stata, forse, proprio quella di riuscire a scrivere, riportando alla luce quei momenti luminosi, incisi profondamente e rivelati, parola per parola, con la pazienza e l’accuratezza del mestiere del restauratore – il Cozzolino in solitaria è stata la sua “opera d’arte” – a cui si è dedicato restaurando, tra l’altro, anche gli stalli lignei del coro del Tempietto Longobardo.
Il libro sarà presentato il 20 marzo alle 20.30 a Cividale nel Centro San Francesco. Modererà l’incontro Saverio D’Eredità. Contributi di Roberto Mazzilis e Nicola Narduzzi.
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