Il ritorno dei Rockets a Udine: «Faremo uno show innovativo»
La tournée parte il 23 gennaio da Bologna, il 24 è al Teatro Astra di Schio e fa tappa il primo febbraio, alle 21, al Nuovo Giovanni da Udine
«Abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo, ma devo dire che la zona del Nord Est ci ama particolarmente»: Fabrice Quagliotti, tastierista e fondatore dei Rockets, band space rock francese che fin dagli esordi ha avuto grande seguito nel nostro paese, racconta il nuovo tour che prende il nome dall’album uscito a ottobre, “The Final Frontier”.
La tournée parte il 23 gennaio da Bologna, il 24 è al Teatro Astra di Schio e fa tappa il primo febbraio, alle 21, al Nuovo Giovanni da Udine per continuare poi nel resto d’Italia (altra data a Nord Est: 15 febbraio all’Auditorium Santa Chiara di Trento).
«A Udine – aggiunge Quagliotti, ricordando anche il live al Carnera nel 1979 – ci vogliono da sempre tanto bene». I Rockets hanno raggiunto fama mondiale tra gli anni ‘70 e ‘80, vendendo milioni di dischi con brani quali “Future Woman”, “Space Rock”, “One More Mission”, “Electric Delight”, “On the Road Again” (cover dei Canned Heat), e “Galactica”, tormentone del 1980 con cui hanno vinto il Telegatto come miglior gruppo straniero. La formazione attuale vede accanto a Quagliotti: Rosaire Riccobono al basso, Gianluca Martino alla chitarra, Eugenio Mori alla batteria e Fabri Kiarelli alla voce.
Fabrice, cosa può anticipare dello spettacolo?
«È uno show innovativo, diverso da tutto quello che abbiamo fatto in questi ultimi anni. Portiamo una produzione completa, con un palco nostro, multilivello, proiezioni in 3d, i laser curati da Andrea Vesnaver».
Sarete ancora dipinti d’argento?
«Questa volta proponiamo un outfit completamente nuovo, curato da Maria Catia Corsini con dei costumi da cosplay spaziali molto belli».
La scaletta?
«Comprende 24 brani, per almeno due ore di concerto, andrà a ripescare tutta la storia dei Rockets dagli esordi del “disco verde” all’ultimo “The Final Frontier” (da cui sono tratti circa sei brani), “π 3,14” è l’unico album da cui non voglio mai attingere, ma ce ne saranno per tutti i gusti, nessuno resterà deluso».
L’album precedente, “Time Machine” era composto da cover.
«È stata una sfida perché fare delle cover è sempre più difficile che realizzare un brano tuo. Abbiamo scelto titoli come “Walk on the wild side”, “Jammin”, “Last Train to London”, toccare questi brani sacri è complicato però direi che ci è riuscito piuttosto bene, e ci siamo divertiti».
L’entrata del nuovo cantante vi ha convinti a incidere poi degli inediti?
«La voce di Fabri Kiarelli ti permette di fare delle cose più rock, come eravamo agli inizi. Mi ha aperto altri orizzonti. Non potevamo non registrare un album con lui».
È uscito il videoclip “Cosmic Castaway”, dedicato ad Alain Maratrat, chitarrista e co-fondatore che ha partecipato con un assolo.
«Gli ho dedicato l’intero album, gli voglio bene. Non suonava da due anni a causa della malattia che sta affrontando, appena ha potuto ci ha messo la sua chitarra magica, spero che la forza della musica lo aiuti a combattere».
Un gruppo così futuristico che ne pensa dell’intelligenza artificiale e dei progressi della tecnologia?
«Non ho nulla in contrario se gestita bene, non concepisco però i libri o musiche scritti dall’intelligenza artificiale. Può essere importante in campo scientifico più che artistico. La tecnologia moderna ci aiuta, ma non a livello qualitativo del suono, anche perché noi utilizziamo tanti hardware vintage tipo Minimoog, così come synth di nuova generazione. Il grosso vantaggio è che riusciamo a scambiarci le tracce a distanza, guadagniamo del tempo, è tutto fluido e veloce».
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