Il sogno di Luigi XIV per Versailles: da casino di caccia a reggia sfarzosa

Luigi Mascilli Migliorini ha raccontato la nascita del palazzo. «Era anche un progetto politico»

Valerio Marchi

Ultimo appuntamento, domenica, con il ciclo Lezioni di Storia “Le opere dell’uomo”, ideato da Laterza e organizzato in collaborazione con il Teatro Nuovo Giovanni da Udine e con la media partnership del Messaggero Veneto. A raccontare la Reggia di Versailles, presentato da Fabiana Dallavalle, è stato Luigi Mascilli Migliorini, docente di Storia moderna all’Università di Napoli L’Orientale, figlio di Enrico che tra il 1946 e il 1948 fu il primo direttore del Messaggero Veneto. Sul palco, alla fine dell’incontro, lo storico ha brevemente ricordato la figura del padre: «È la prima volta che vengo a Udine, mio papà ci arrivò per dirigere il giornale all’età di 24 anni, qui c’era bisogno di una voce libera».

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«Chi non ha vissuto negli anni prima della Rivoluzione non può capire cosa sia la dolcezza del vivere»: era questa l’epigrafe del film di Bertolucci “Prima della rivoluzione”, del 1964. La frase, attribuita al politico e diplomatico francese Talleyrand, dice una verità ma non tutta la verità. Infatti, quel mondo sfarzoso e abbagliante è più complesso di quanto ci comunichi un primo sguardo, e già le circostanze in cui nacque il progetto di Luigi XIV contenevano il seme di un frutto amaro.

Nel 1661 un giovanissimo Luigi XIV, re ma non ancora “Re Sole”, partecipò ad una festa tenutasi nello straordinario palazzo di Vaux-le-Vicomte, luogo perfetto per esibire non solo l’eleganza e il gusto (che peraltro Luigi XIV non ebbe mai in quella forma e misura) ma anche il potere e la ricchezza del proprietario, ovvero il Sovrintendente alle finanze Nicolas Fouquet.

Fu tuttavia proprio quella festa a segnare il destino di Fouquet, membro di una blasonata famiglia che aveva come simbolo uno scoiattolo e per motto – ambiziosissimo – «Quo non ascendet?» (Dove non salirà?).

Egli infatti voleva impressionare il re, ma ne suscitò la rabbia, l’invidia e il sospetto. Arrestato e processato, morì in carcere nel 1680.

Luigi XIV, desiderando qualcosa di ancor più grande e sontuoso di Vaux-le-Vicomte, diede inizio a un cantiere che nei decenni trasformò un casino di caccia, situato in un posto appartato, brutto e persino privo di acqua (quanta fatica e quante spese, poi, per farcela arrivare!), in una reggia favolosa capace di ospitare almeno 10 mila persone.

Ma si trattò di un progetto anche politico: Luigi XIV aveva passato anni angosciosi sotto la minaccia delle fronde (parlamentare e nobiliare), capaci anche di sollecitare il popolo. La monarchia aveva vacillato, poi il potere sovrano si era stabilizzato e lui non voleva più avere paura, voleva controllare la “polveriera” parigina sradicando la nobiltà dai propri territori e dalle proprie province.

Doveva essere chiaro a tutti che il re non era un primus inter pares, bensì al di sopra di tutti. Chi non ricorda l’assunto di Luigi XIV «lo Stato sono io»? Tuttavia, in quella sorta di «prigione dorata», dove tutti erano alla totale dipendenza del sovrano, il sovrano stesso si era auto-imprigionato…

L’aristocrazia francese era lì per non perdere contatto con il sovrano, per non rimanere tagliata fuori da quel sistema e da quel «mercimonio» costosissimo, all’interno del quale si agitava una vita pubblica intensa ma – diremmo oggi – stressante, tutta rivolta a cercare di esserci e di essere visti per avvicinarsi quanto più possibile al re: una competizione durissima, «una vita da cani», spiega Mascilli Migliorini, dove tutto era meticolosamente formalizzato, cerimonializzato: era la società di corte, una vita molto complicata per il sovrano stesso.

Dopo Luigi XIV e Luigi XV, ai tempi di Luigi XVI la regina austriaca Maria Antonietta – pedina dell’avvicinamento fra Asburgo e Borbone – cercò di creare spazi diversi, intimi, per vivere in modo più semplice e discreto, ma generò fastidio e insofferenza, alimentando l’impressione di una presenza estranea e ingerente. Sinché, seguendo la sorte del marito Luigi XVI («il re sbagliato al momento sbagliato»), sarà falciata dalla Rivoluzione.

Da lì in poi nessuno abitò più a Versailles. Dopo la guerra franco-prussiana (1870-71) il salone degli specchi, già divenuto ospedale da campo, fu teatro dell’umiliante proclamazione del II Reich germanico.

E anche frangenti teoricamente positivi, quali i trattati di pace della Grande Guerra, si riveleranno catastrofici (fu proprio quella “pace” a preparare, di fatto, la guerra successiva). Oggi per noi Versailles è un’illusione di bellezza quasi senza tempo e senza storia. Ma forse è proprio questa la «vendetta dello scoiattolo».

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