Il trattato di Versailles, quell’armistizio breve “preludio” del secondo conflitto mondiale

L’Europa ridisegnata il 28 giugno 1919 accrebbe intolleranze e odio. Le ricadute sulla Valcanale (la «Carinzia italiana»)

UDINE. La Grande guerra non terminò per tutti il 28 giugno 1919: quel giorno i vincitori concessero la pace alla sola Germania sulla base del Trattato firmato a Versailles. (Località scelta non per caso o solo per sfarzo: dopo la vittoria di Sedan nel 1870, il Kaiser era stato incoronato nella reggia dei Re di Francia).

Quello fu il trattato-padre di altri minori: il 10 settembre a Saint Germain en Laye fu ristabilita la pace con l’Austria; il 27 novembre 1919 a Neuilly sur Seine con la Bulgaria; il 4 giugno 1920 nel Trianon (di Versailles) con l’Ungheria; il 10 agosto 1920 a Sèvres con la Turchia. Una pace a spicchi, o a rate, e sempre imposta, mai concordata.

Quel primo trattato, stilato in 440 articoli, fu importante perché: istituì la Società della Nazioni (antenata dell'Onu); dettò le linee-guida per i trattati minori (pace punitiva per i vinti, unici responsabili della guerra, chiamati a pagare pesantissime riparazioni); ridisegnò l’Europa (con smembramenti, annessioni e laceranti amputazioni territoriali).

L’elenco degli spostamenti (l’Alsazia e la Lorena dalla Germania alla Francia; la Galizia dall’Austria alla Polonia; il Tirolo meridionale dall’Austria all’Italia, il corridoio di Danzica fra le due Prussie …) occuperebbe troppo spazio.

Qui ci limitiamo a ricordare che, per effetto di quei trattati, fu di molto accresciuto il numero delle “minoranze” (chiamate in Italia “allogeni” e “alloglotti”), talora molto consistenti (più di tre milioni i tedeschi del Sudetenland in Cecoslovacchia, ad esempio): facile prevedere che sarebbero state focolai di discriminazioni, snazionalizzazioni, intolleranze, odii, e alla fine pretesti per altri conflitti (la Sudetenland sarebbe stata il primo boccone di Hitler nel 1938), ma i vincitori, ciechi di fronte alla guerra nel 1914, furono ciechi anche di fronte alla pace nel 1919.

Wilson volle ridisegnare l’Europa sulla base del “principio dell’autodeterminazione dei popoli”, ma non riuscì ad applicarlo contro i vincitori: perché far dipendere dall’esito incerto di un plebiscito i diritti della Francia sull’Alsazia e sulla Lorena, ad esempio, e dell’Italia sul Tirolo meridionale per raggiungere la frontiera del Brennero?

Il principio fu applicato in varie regioni e nello Schleswig settentrionale (attribuito alla Danimarca, che non aveva partecipato al conflitto!), ma non, per quanto ci riguarda da vicino, nel Friuli orientale, a Trieste, nell’Istria, e in Valcanale (Tarvisio), definita “Carinzia italiana” da Olinto Marinelli.

Non è difficile cogliere gravi contraddizioni in quei trattati. Come potete pretendere, disse nell’aprile del 1919 il capo delle delegazione tedesca, Ulrich von Brockdorff Rantzau, che la Germania paghi pesantissime sanzioni se la state ancora affamando con il blocco navale inglese, le togliete territori e la private delle colonie africane? (I tedeschi, vittime nel 1919 a Versailles, erano stati carnefici nel 1918 a Brest-Litovsk, dove avevano imposto ai russi la perdita di vastissimi territori e il pagamento di costosissime riparazioni).

Non meno razionale, nelle sue deduzioni, fu l’economista John Maynard Keynes, rappresentante del Tesoro inglese alla Conferenza della pace, che il 7 giugno si dimise dall’incarico: «Anche in queste ultime, angosciose settimane – scrisse a Lloyd George – ho continuato a sperare che trovaste un modo qualunque per fare del trattato un documento giusto e realistico. Ma ora è troppo tardi, evidentemente. La battaglia è perduta».

Keynes non aveva mai creduto alla «guerra che avrebbe posto fine a ogni guerra», come diceva Wilson, e dubitava che i problemi postbellici potessero essere risolti inventando nuove frontiere e sovranità.

Si ritirò nel Sussex, e nell’estate del ’19 scrisse di getto un libro famoso e profetico, “Le conseguenze economiche della pace”, che produsse grandissimo scandalo: aveva lucidamente previsto che le durissime riparazioni imposte alla Germania (132 miliardi di marchi oro, pari a 6 miliardi e 600 milioni di sterline) avrebbero provocato un nuovo conflitto nel giro di venti o trent’anni!

Previsione azzeccata! Hitler, infatti, invase la Polonia il I° settembre 1939. Ma ancor più preciso fu il generale Ferdinand Foch, che definì il Trattato di Versailles un armistizio per vent'anni!

Anche Clemenceau, strenuo assertore della pace punitiva, prima di morire nel 1928 si convinse che la pace giusta e realistica è più difficile della guerra, e lo scrisse nelle sue memorie: forse sentiva che gli storici lo avrebbero considerato come uno dei maggiori responsabili della Seconda guerra mondiale. —


 

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