Il vicino, tensione sul pianerottolo: il nuovo thriller di Marina Vujčić
Il libro pubblicato dalla casa editrice friulana Bottega Errante. I saluti volanti, i manicaretti sullo zerbino. E un po’ di sangue, ma di manzo
Un thriller senza sangue, anzi un po’di sangue c’è ma è di manzo, che in ogni pagina tiene il lettore in sospeso, aspettando che accada qualcosa di brutto. È il secondo romanzo tradotto in italiano di Marina Vujčić, scrittrice croata che i lettori italiani hanno conosciuto con Una questione di pelle, edito da Bottega Errante, la stessa casa che pubblica ora “Il vicino” (210 pagine, 18 euro).
La forza di questo romanzo è nella scrittura di Vujčić, magnificamente tradotta da Estera Miočić. Un bel lavoro di due dalmate, l’autrice originaria di Traù, la traduttrice di Spalato e laureata a Bologna al Dams. Vujčić è stata direttrice della prosa al Teatro Nazionale di Spalato. Oggi è a capo del programma culturale del Kantun Kulture di Traù (Trogir). Nel 2015 con “Il vicino” si è aggiudicata i premi V. B. Z. e TISAKmedija per la migliore opera inedita e a oggi il romanzo è uno dei più letti e amati dai lettori croati.
Il libro
La protagonista è Katarina Bauković una donna di 37 anni, non bella, un po’ sovrappeso, tremendamente sola dopo una convivenza fallita nel modo più banale: il suo compagno, Zvonko, l’aveva lasciata per mettersi con la sua migliore amica, Magda, e non le aveva restituito i diecimila euro che lei gli aveva prestato senza garanzie quando si amavano, o almeno lei credeva che lui l’amasse. La rottura l’aveva pure costretta a cercarsi una casa in affitto, 300 euro al mese una bella cifra per il suo magro stipendio di impiegata all’Ufficio per l’impiego, perché la madre non l’aveva voluta con sé preferendo ospitare la sorella con la famiglia. Con la “vecchia” non era mai andata d’accordo perché la vessava, affermando che non valeva niente.
Una vita senza prospettive che cambia quando Katarina incontra il vicino del piano di sotto che esce da casa alla sua stessa ora, un saluto formale e ciascuno per la sua strada. Ozren Kovač la incuriosisce, l’attrae e lei fa di tutto per incontrarlo, attende che esca e scende le scale in perfetta coincidenza. Un saluto e ciascuno per la sua strada.
Ma lei comincia a fantasticare su Ozren e il suo è un soliloquio serrato, continuo, domande e risposte, squarci di una quotidianità permeata dalla solitudine di una persona insicura. Il dialogo con sé stessa diventa ossessivo, ma non trova il coraggio di andare oltre il saluto formale, di fermarlo in qualche modo. Una frustrazione, che cresce insieme alla sua ossessione, dopo assurdi tentativi di attrarre l’attenzione di Ozren lasciandogli davanti alla porta dei manicaretti, il primo è uno sformato di verza con la carne. Ma non si rivela. Lo spia per vedere se accetta il dono. E lui le fa trovare la teglia ripulita sullo zerbino.
Un momento di felicità. Decide di replicare con un arrosto di vitello con le castagne che lascia sempre sullo zerbino. Ma, colpo di scena: mentre lo aspetta dietro la finestra, lui arriva accompagnato da una donna con il cappotto rosso. Cappotto che lei aveva comprato per farsi notare.
Lo shock è violento: Katarina si trasforma, la persona insignificante cambia carattere, il soliloquio rivolto a Ozren assume un altro tono, lo detesta sempre di più e fantastica su come vendicarsi di lui.
In un crescendo drammatico Katarina mette in atto la sua offensiva. Invece dei manicaretti gli fa trovare contenitori con lische di pesce, sangue in bottiglia, ma, come detto, di manzo, e altri resti puzzolenti. E mette nella cassetta delle lettere manda messaggi minacciosi, ritagliando le parole dai giornali come ha visto fare nei film. E gongola raccontandosi la paura di Ozren: “Non puoi immaginare che gusto si prova a essere cattivi”.
Ma la sua vendetta non si ferma a Ozren, colpisce Zvonko, Magda, la madre e la sorella.
E qui mi fermo, perché “niente è come appare”.
Il finale è sorprendente e non va rivelato.
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