Gli internamenti in Italia: 2.500 nomi escono dall’oblio al libro di Giorgio Milocco
Lo studio è partito dalle vicende di 300 cervignanesi: documenti, lettere e storie sul destino di sacerdoti, sindaci e intere famiglie

Un grande padre del Friuli si batté perché a quelle genti senza colpa fosse restituito l’onore. Nell’agosto del 1921 il deputato cattolico popolare Tiziano Tessitori consegnò un’interpellanza parlamentare a Roma, firmata anche dai deputati Enrico Tomanini, Luigi Carbonari (trentino) e Giovanni Urbet (veronese), per far emanare al governo un provvedimento di riabilitazione morale degli internati civili e religiosi.
Non fu accolta, nonostante le evidenti ingiustizie inflitte alle migliaia di austro-ungarici di lingua italiana internate dalle autorità italiane durante e subito dopo la Prima guerra mondiale con accuse sconclusionate e spesso false.

Nel tempo altri hanno voluto imboccare il sentiero che conduce ad una giustizia giusta e capace di mettere fine all’oblio, primo fra tutti, negli anni Sessanta, Camillo Medeot, illustre figlio di Gorizia. Oggi, in una bibliografia finalmente corposa, troviamo un altro pregevole lavoro, che ci regala un’autentica anagrafe degli oltre 2.500 internati della Contea di Gorizia e Gradisca: ne è autore Giorgio Milocco, instancabile ricercatore storico e assiduo frequentatore di archivio. Un cammino partito 25 anni fa e che portò Giorgio a firmare per Gaspari assieme alla figlia Sara (che ne aveva fatto la sua tesi di laurea) “Fratelli d’Italia – Gli internamenti degli italiani nelle “Terre liberate” durante la Grande Guerra”.

È una raccolta dati immane cominciata proprio lì con oltre 300 nominativi del mandamento di Cervignano. Poi Milocco ha continuato a cercare, Tanti viaggi e tante scoperte, documenti, lettere e molte storie-profili personali hanno prodotto le 280 pagine di Gli internamenti in Italia durante la Grande Guerra nella Contea di Gorizia e Gradisca.
I “Fradis” dimenticati
Sono sempre i vincitori a scrivere la storia, la loro storia. Dal maggio 1915 comincia l’occupazione italiana di parte di un territorio che per secoli era stato asburgico. E comincia l’italianizzazione, prima con esodi di massa che riguardavano soprattutto la linea del fronte e poi con “scelte” più mirate e più funzionali ai fini che la nuova Italia perseguiva: molti sacerdoti (c’è un capitolo loro dedicato), sindaci, nobili, persone ritenute influenti.
E anche famiglie intere, “italiani di serie B” provenienti da Tolmino e Monfalcone, da Gorizia e Cormòns, dalla Bassa friulana austriaca e da Grado: destinazioni lontane, isolate, controllabili. Gli internamenti erano misure di tipo punitivo nonché amministrativo, prese da militari o da politici che, non contemplavano diritti di difesa né regolari iter processuali né, tuttavia, una detenzione carceraria o in un campo di prigionia. Bastavano però un cognome, un luogo di nascita, un ruolo pubblico, per toglierti alla tua terra e alla tua famiglia. Questi 2. 500 “fradis” grazie ai Milocco, non sono più dimenticati.
Gli sloveni
Oltre alla corposa anagrafe, la grande novità di questo prezioso volume è la presenza – per la prima volta – degli internati sloveni, i dimenticati fra i dimenticati: eppure nel censimento del 1910 rappresentavano quasi il 62% dei residenti nella Contea.
Il lavoro di Milocco qui è stato difficile, ma gli sono venuti in aiuto opere di storici sloveni, gli archivi, la conoscenza del territorio e anche dei cimiteri. «Con la mia anagrafe-censimento sono andato davvero in diversi cimiteri della Slovenia di oggi: attraverso i cognomi sono risalito ai paesi e alle famiglie, trovando tante informazioni, lettere e immagini che ho poi inserito nel libro».
Le accuse
Dal materiale raccolto si evince che le accuse, spesso sommarie, superficiali, fantasiose e indimostrabili – se non comprese in un progetto di sostituzione della popolazione della Contea asburgica – erano di quattro tipi: spionaggio in favore del nemico, sentimenti austriacanti, sentimenti filo-slavi, persone con ascendente sulla popolazione locale, cioé sindaci, pubblici funzionari, preti, nobili possidenti. Nel dubbio, internavano tutti.
Il caso Gorizia
Gorizia, poi, con il suo mix di lingue, culture e nazionalità, rappresenta un unicum in tutta questa storia, perché conobbe due internamenti: quello durante il periodo bellico, dopo la conquista italiana del 9 agosto 1916, e quello dopo il 4 novembre 1918. Al termine delle ostilità, la strategia di internamento fu più mirata e andò a colpire persone influenti, professionisti, notabili, come Antonio Obizzi, Carlo Podgornik, Ivan e Bogomil Berbuč, Giuseppe Zorzin gli avvocati Novak e Gabršček, Alessio Coronini e Massimiliano de Claricini.
Le destinazioni
La parola d’ordine era una sola: portarli lontano e “italianizzarli”. Le principali regioni di trasferimento forzato furono la Lombardia, il Piemonte, la Liguria, la Sicilia e la Sardegna. E poi le isole Ponziane (con Ponza e Ventotene), dove furono trasferiti tanti goriziani, Lipari e Lampedusa.
Il ritorno
Al termine della guerra i venti erano cambiati e, per fortuna, si accelerarono i tempi per rimpatri e rientri, con il proscioglimento di tutti gli internati prima del 3 novembre 1918. E soprattutto perché da parte italiana si comprese che dimostrarsi tolleranti verso le minoranze (in particolare slovena) sarebbe stato una nota di merito – e di intesa – di fronte alle pressioni jugoslave e inglesi. Così, nel 1919 finiva un calvario, ma cominciava anche l’oblio della storia.
Per fortuna, le nuove generazioni di studiosi, con strumenti e mezzi migliori, hanno aperto porte e canali nuovi e oggi restituiscono a quelle migliaia di persone un posto nella storia. Anche a chi morì di gioia, come il dedicatario del libro, Giovanni Pacco, 60 anni, di Villa Vicentina, confinato in un grotta di Oratelli, in Sardegna, “deceduto il 12.4.1919 per la troppa gioia provata nell’apprendere che poteva tornare a casa”.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto