Kader Abdolah protagonista a Dedica: «L’ottimismo è il potere dell’umanità»

Lo scrittore iraniano che vive in Olanda da sabato 15 marzo  ospite di Dedica Pordenone. «Nella mia narrativa e nei sogni torno ogni notte nel mio Paese»

Oscar D’agostino
Kader Abdolah, lo scrittore iraniano che vive in Olanda e che sarà il protagonista del Festival Dedica a Pordenone
Kader Abdolah, lo scrittore iraniano che vive in Olanda e che sarà il protagonista del Festival Dedica a Pordenone

«Essere ottimisti è il potere più importante dell’umanità». Parola di Kader Abdolah, lo scrittore iraniano che vive in Olanda e che sarà il protagonista, da sabato 15 marzo, del Festival Dedica a Pordenone. Esilio, memoria e identità sono i temi che lo scrittore affronta nelle sue opere in un percorso che ha fatto della libertà di espressione e del dialogo fra culture il cuore della sua narrazione. Fuggito dal regime iraniano, lo scrittore ha trovato rifugio politico nei Paesi bassi, dove vive da decenni e dove scrive le sue opere in olandese. E nonostante guerre, tragedie, intolleranze e attentati, guarda al fuuturo con ottimismo.

Cosa significa la letteratura per lei e quale ruolo può svolgere in un mondo sempre più diviso, scosso dal fanatismo e dall’intolleranza?

«Per me, la letteratura significa sedermi e scrivere ciò che il mio corpo mi dona e presentarlo ai miei lettori nel modo migliore. Non riuscirei a gestire la mia vita quotidiana in altro modo. La letteratura è leggere l’Odissea di Omero e trarre insegnamenti dalla sua avventura per tornare a casa.

Perché ha iniziato a scrivere in olandese quando ancora non lo parlava bene? Scrivere in una lingua diversa dalla propria madrelingua offre maggiore libertà espressiva a uno scrittore?

«Ero figlio di una famiglia culturalmente ricca, con presidenti e poeti tra i miei antenati. La mia famiglia mi diceva sempre: “Tu sei qualcuno.” Inoltre, mio padre era sordomuto. Io ero il suo mondo. E lui pensava che fossi una persona molto potente. Ancora una volta: pensava che fossi una persona molto potente. E quando ero giovane, volevo essere uno scrittore persiano amato. Ma all’improvviso sono fuggito, ero in esilio e non ero nessuno. Non sapevo cosa potessi fare per la mia famiglia, per mio padre e per me stesso. Cercavo qualcosa a cui aggrapparmi e, all’improvviso, la vita mi ha dato la lingua olandese».

Ha vissuto in Iran fino all’età di trent’anni. Cosa sta accadendo ora nel suo paese? Se potesse, tornerebbe a viverci oggi?

«Non ho un buon messaggio sull’Iran in questo momento: tutti i giovani vogliono lasciare il paese. Non esagero quando lo dico, questa è la realtà. E gli scrittori e gli artisti iraniani chiedono a tutti: per favore, restate, questo è il vostro paese. Ma allo stesso tempo, agli scrittori non è permesso pubblicare i loro libri e ai registi non è permesso mostrare i loro film. Una sola cosa conta, ed è la parola degli Ayatollah. E io? Cosa voglio? Nella mia narrativa, torno indietro. Nei miei sogni, torno indietro ogni notte. Nel momento in cui sarà possibile, tornerò a casa della mia famiglia e scriverò, anche se per ora non mi lasciano pubblicare i miei libri. Ma so che un giorno saranno pubblicati e letti».

Respingimenti, controlli sui flussi migratori, intolleranza e violenza: la migrazione è diventata una tragedia. Non era così 40 anni fa, quando si è trasferito in Europa. Cosa pensa stia accadendo, anche in Europa?

«La migrazione non è affatto una tragedia. La migrazione sfida sempre chi la incontra, è sempre stato così: le persone cercano di entrare, chi è già nel paese cerca di respingerle, ma una cosa rimane sempre la stessa: arrivano, creano problemi, ma restano e portano cambiamento. Loro stessi cambiano e la società cambia».

A Pordenone presenterà anche la riedizione de "Il Messaggero", la sua personale reinterpretazione letteraria della vita di Maometto. È necessario comprendere il Profeta per comprendere l’Islam, ancora oggi?

«Provengo da una famiglia religiosa e il Corano era il libro della nostra casa. Mio nonno lo leggeva sempre al mattino presto, a mezzogiorno e prima di andare a dormire. Lo canticchiava ogni volta che ne sentiva il bisogno. Ma io non l’avevo mai letto. Più tardi, da scrittore, ero curioso di conoscerlo perché era diventato un grande tema in Occidente e volevo leggerlo. E quando l’ho letto come scrittore ho scoperto che era un grandissimo libro di narrativa. Poi ho conosciuto Maometto non solo come profeta, ma come narratore. Per me, era uno dei narratori più interessanti. E ho deciso di mostrarlo ai miei lettori come un essere umano, un leader, un poeta e un sognatore».

In una discussione, ha affermato che TikTok è spesso guardato con sufficienza, eppure è il mezzo più importante per rappresentare la libertà perché chiunque può parlare. I social network possono aiutare a resistere all’oppressione?

«Sì, mi piace TikTok. Ognuno può dire cose buone o cattive su di esso ma ha un potere fondamentale: la libertà di parola. E in secondo luogo ha tolto il potere ai giornali e lo ha messo nelle mani di tutti. Ed è una cosa meravigliosa».

Uno dei temi ricorrenti nei suoi libri è la fiducia. Nonostante tutto ciò che accade nel mondo, lei si è sempre descritto come un ottimista. Come riesce a restarlo?

«Essere ottimisti è il potere più importante dell’umanità. Devi essere ottimista per poter ricostruire, ad esempio, tutti i danni dopo la Seconda guerra mondiale. L’immaginazione è il dono più potente che Dio ha dato all’umanità e l’immaginazione si basa sulla speranza e sull’ottimismo».

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