Kirov, la grande fossa con ventimila caduti dell'Armir

È larga come cinque campi di calcio e conterrebbe le spoglie di tanti italiani. Simonit (gruppo speleologico carsico): avvertiti dai colleghi ungheresi

Kirov è una città di porto, costruita attorno al molo sul fiume Vjatka. Ottocento chilometri da Mosca, è stata ribattezzata cosí nel 1934, per onorare il leader comunista Sergej Mironovic Kirov, ucciso quell’anno dagli antistalinisti, all’alba della stagione delle repressioni e dei processi a cui il Partito sovietico diede vita per arginare l’avanzata degli oppositori politici, con in testa Lev Trockij.

A Kirov potrebbero essere seppelliti centinaia di soldati italiani, caduti sul fronte orientale nel 1943, quando Mussolini decise di affiancare la Germania di Hitler nell’operazione Barbarossa, contro l’Unione sovietica.

Nella cittadina della Russia nordorientale è affiorata nei mesi scorsi una fossa comune di proporzioni inaudite: secondo due ricercatori russi, Alexey Ivakin e Andrey Ogoljuk – che stanno lavorando alla vicenda – sarebbero sepolti a Kirov tra i 15 e i 20 mila soldati. Italiani, certo. Ma pure tedeschi, romeni, ungheresi.

Morti di stenti, di freddo, abbandonati forse dagli stessi commilitoni durante un trasferimento in treno: del resto, la città russa è toccata dalla Transiberiana.

Della fossa comune si sa poco o nulla, ancora. E quel poco che si sa è noto grazie al Gruppo speleologico Carsico di San Martino del Carso, che per una provvidenziale triangolazione con i “colleghi” che si occupano delle ricerche e dell’allestimento di mostre legate ai caduti della Prima guerra mondiale, hanno portato all’attenzione delle autorità italiane i rinvenimenti di Kirov.

«Noi ci occupiamo quasi esclusivamente di attività culturale e di ricerca legata alla Grande Guerra - spiega Gianfranco Simonit, vicepresidente del sodalizio isontino -. Ci hanno contattato i colleghi ungheresi per spiegarci quanto scoperto in Russia, chiedendoci di intercedere con le autorità italiane per tentare di sbloccare una situazione altrimenti in stallo da settimane».

La scoperta risale, infatti, alla scorsa primavera. coordinata da Alexei Ivakin, a capo dell’associazione giovanile comunale di Kirov, Debt; a giugno poi sono avvenuti i primi contatti con le competenti istituzioni italiane: Onorcaduti, anzitutto, ma pure l’ambasciata italiana in Russia, che in queste ore ha intensificato i contatti con le autorità locali per cercare di far luce sulla fossa comune di Kirov.

Le ricerche potrebbero partire già nelle prossime ore, con attività d’indagine che coinvolgeranno verosimilmente anche l’Italia.

La tragica ritirata del ’43: decimati da freddo e stenti

Per il momento dal Friuli non è prevista la partenza di ricercatori che pure attendono con ansia i risultati delle ispezioni in Russia, speranzosi di riuscire a chiudere il cerchio e rimpatriare magari i poveri resti di migliaia di friulani morti nel 1943 nella steppa. Il tempio di Cargnacco sarebbe la sede naturale per accogliere quelle povere spoglie e l’organizzazione di Onorcaduti si è già messa, appunto, in azione per acquisire tutte le informazioni necessarie e avviare, quando sarà possibile, le procedure per il rimpatrio.

A dar manforte all’attività di recupero potrebbero essere coinvolte anche le associazioni del nostro Paese. Intanto, il terreno aspro di Kirov – dove si continua a scavare, con operazioni a campione che hanno anzitutto l’obiettivo di delimitare il perimetro della fossa – ha già restituito una certezza, che ha nome e cognome: è stata infatti rinvenuta la piastra appartenuta a Giulio Lazzarotti, alpino nato nel Parmigiano nel 1922 e deceduto il 20 gennaio del 1943 «in località non nota», come recita l’elenco dei caduti in Russia.

«Questo ritrovamento - riprende Simonit - è una conferma diretta della presenza di caduti italiani in quella fossa. L’ufficialità del recupero della piastrina dell’alpino parmigiano potrebbe dare impulso all’attività diplomatica e alla voglia di fare chiarezza da parte delle nostre autorità: speriamo di avere novità a breve, noi stessi stiamo ricevendo centinaia di richieste di contatto, anche da parte dei discendenti dei soldati morti in Russia nel ’43».

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