L’8 agosto 1522 rientra a Siviglia la Victoria Sulla nave 524 quintali di chiodi di garofano

L’8 agosto 1522 la nave Victoria, unica superstite della flotta di Magellano ad aver compiuto il giro completo dei mari del mondo, arrivò a Siviglia, da dove era partita tre anni prima. Il capitano portoghese che era partito al soldo del re di Spagna era morto in un combattimento nelle Filippine diciotto mesi prima, e il centinaio di marinai e soldati che erano riusciti a raggiungere le “isole delle spezie”, la vera meta del viaggio, si erano dovuti dividere tra le due navi superstiti: una aveva cercato di ripercorrere il Pacifico verso est per raggiungere l’America spagnola, ma i suoi pochi superstiti erano stati fatti prigionieri dai portoghesi al ritorno nelle Molucche; l’altra, sotto il comando del basco Juan Sebastian Elcano, era invece riuscita ad attraversare come una nave fantasma i mari controllati dai portoghesi e a ritornare in Spagna continuando a navigare verso occidente. A Siviglia arrivarono in ventuno: tre molucchesi e diciotto europei, tra cui il vicentino Antonio Pigafetta, autore di una straordinaria cronaca del viaggio più lungo e avventuroso nella storia delle esplorazioni.
La prima cosa che colpì il giovane imperatore Carlo V, che quattro anni prima aveva dato fiducia alla proposta di Magellano, fu lo straordinario carico di 524 quintali di chiodi garofano che l’equipaggio stremato era riuscito a portare. Molte cose erano tuttavia da chiarire. La nave Sant’Antonio, che aveva abbandonato Magellano durante l’esplorazione dello stretto, era tornata in Spagna l’anno prima, nel 1521, e i suoi uomini avevano raccontato dell’ammutinamento che aveva avuto luogo lungo il viaggio e del pugno duro tenuto da Magellano nello spegnere la congiura. Poi mancava all’appello lo stesso capitano, della cui morte era già giunta notizia alla corte spagnola. Carlo V convocò dunque formalmente Elcano per avere un resoconto del viaggio.
Egli si guardò bene da farsi accompagnare da Pigafetta, che era sempre rimasto fedele a Magellano, ma la sua versione soddisfece il re: Magellano aveva compiuto varie azioni improprie ma era stato ucciso per sua imprudenza dai filippini, non da uomini della sua stessa flotta. I numerosi quintali di chiodi di garofano di proprietà del re che mancavano rispetto alle note di carico erano andati persi o si erano essiccati nel viaggio. Elcano fu così perdonato per la partecipazione all’ammutinamento di San Julàn, ricompensato con una pensione, un castello, un titolo e il motto che inquadrava un globo «Primus circumdedesti me». I suoi compagni furono graziati e ricompensati.
Antonio Pigafetta ricevette invece la quintalada, cioè la percentuale di spezie sul carico di sua spettanza, quindi una cifra cospicua, ma nessuna ricompensa. Se ne partì presto dalla Spagna, dove la sua fedeltà al capitano portoghese non doveva avergli attirato molte simpatie, e si fece quindi ricevere dal re di Portogallo, dalla madre del re di Francia, dal Maggior Consiglio veneziano e dai Gonzaga a Mantova, raccontando la sua straordinaria avventura e portando copie del diario che aveva tenuto. Non ebbe grandi onori. Rientrato a Vicenza trasformò il diario in un libro per la cui pubblicazione ottenne il privilegio dal Senato veneziano ma che non vide mai uscire dai torchi. Nel 1525 Antonio compare infatti citato nel testamento del padre, poi su di lui cala il silenzio documentario più totale: non se ne saprà più nulla.
Il pilota Estevão Gomez, capo del secondo ammutinamento, non solo fu perdonato ma messo nel 1524 a capo di una spedizione di Carlo V per trovare il “passaggio a nord-ovest” dall’Atlantico al Pacifico ma che si limitò solamente a rimontare le coste nord-americane fino a Terranova. Nel 1535 ricevette una pensione «per aver scoperto lo stretto» : lui, che aveva disertato! Morì nella spedizione di de Mendoza al Rio de la Plata di pochi anni dopo.
Più avventurosi ancora, se possibile, i destini dei diciassette uomini della Trinidad, ritornati alle Molucche dopo aver cercato di tornare in America riattraversando il Pacifico. Alcuni scomparvero negli spostamenti tra le isole del sud-est, uno fu fatto schiavo, molti morirono di malattia: solo otto giunsero in India. Tra questi un italiano, Pancaldo da Genova, si imbarcò clandestinamente su un vascello e scoperto in mare venne abbandonato in Mozambico da dove, imbarcandosi ancora di nascosto, riuscì a raggiungere l’Europa. Tre solamente furono portati in catene in Portogallo e liberati nel 1527 in occasione del secondo matrimonio incrociato tra i due sovrani iberici e le rispettive sorelle, dal quale sarebbe scaturita l’unione delle due corone iberiche nel 1580. Di uno, Gines de Mafra, autore di un’altra bella relazione del viaggio di Magellano, si sa che continuò a viaggiare: nel 1542 si imbarcò, a capo di un galeone, nella spedizione di Villalobos che dalla Nuova Spagna raggiunse le Filippine, dove ritrovò tracce del viaggio di Magellano e scrisse la sua cronaca.
Ma la storia più bizzarra, se possibile, fu quella delle “isole delle spezie”, le Molucche. Uno degli scopi della spedizione di Magellano era di rivendicarle alla Spagna, in quanto poste a est dell’antimeridiano di Tordesillas, quindi nella parte del mondo spettante al sovrano di Castiglia e Aragona. Spagnoli e portoghesi continuarono a mandare spedizioni e cartografi sul posto per determinare l’esatta longitudine delle isole produttrici di spezie, senza risultato. Nel 1529, a Saragozza, i due re stabilirono, infine, che le isole erano portoghesi. Carlo V, che aveva realizzato che le spezie non sarebbero potute arrivare nell’America spagnola per le difficoltà della rotta del Pacifico e che aveva bisogno di denaro fresco per la guerra in Europa contro il re di Francia, vi rinunciò facilmente in cambio di un sostanzioso accomodamento.
Di lì a pochi decenni il gusto europeo per le spezie scomparì quasi di colpo dopo mille e cinquecento anno e le isole delle spezie persero gran parte del loro interesse commerciale. Non così le complicate Filippine, dove Ferdinando Magellano aveva per imprudenza perso la vita, e dove gli spagnoli cominciarono presto a mietere conversioni di massa. —
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