La battaglia di Paradiso l’ultimo bagliore della Grande Guerra a 5 minuti dalla fine

A villa Glori si era deciso che le ostilità cessassero alle 15. Alle 14.55 l’assalto. Lo racconta Alessandro Pennazzato

PAOLO MEDEOSSI

La Prima guerra mondiale terminò il 4 novembre 1918 a Paradiso, il paese in comune di Pocenia che poi divenne un simbolo a chiusura di quella infinita strage.

Il toponimo gli era stato dato a seguito delle bonifiche che avevano trasformato un lembo di vero inferno in una terra vivibile. Ma quel 4 novembre fu ancora inferno, che costò molti caduti come sacrificio finale. La battaglia di Paradiso, l’assalto finale, ha dell’incredibile se si pensa che avvenne cinque minuti prima che scattasse l’armistizio tra Italia e Austria firmato il giorno prima a Villa Glori, a Padova. Le armi dovevano tacere alle 15 mentre le nostre truppe, in avanzata rapida, e i reparti nemici, soprattutto ungheresi, vennero a contatto alle 14.55. E nessuno pensò di fermare l’ennesima assurda carneficina. All’isolato incrocio di due strade bianche, scattò la carica dei cavalleggeri del battaglione Aquila che, come si usava nell’Ottocento, partirono d’impeto sorretti dai bersaglieri del Mantova. Sul campo rimasero 9 italiani e 21 austroungarici, che erano comandati da due fieri e impettiti colonnelli. Lì, a Paradiso, finì un’ecatombe costata solo agli italiani 700 mila morti. Alle ore 15 tutto tacque, cominciava la pace.

A una vicenda tanto sconcertante, vissuta con i retorici accenti del solito D’Annunzio ( «Questi fanti, questi cavalieri sapevano che stava per scoccare l’ora dell’armistizio, ma avevano l’ardore in bocca, il vigore nel petto, il cuore palpitante...»), è dedicato un libro molto interessante, pubblicato a cura dell’associazione Il cidul, che ha sede a Torsa. Si intitola “Paradiso, l’ultimo bagliore” e a scriverlo è Alessandro Pennazzato, laureato in Storia a Trieste, che ha voluto narrare l’estremo episodio di guerra raccogliendo la documentazione disponibile di ambo le parti. Ne esce un racconto approfondito per conoscere la vicenda in maniera completa, ricorrendo ad ampio materiale fornito da archivi fotografici e giornalistici.

A commuovere è il capitolo dedicato alle singole storie dei caduti di quel giorno, andati al massacro per niente. C’è la vicenda del conte Achille Balsamo di Loreto, un sottotenente ragazzo del ’99, che la mamma aveva voluto seguire al fronte facendosi crocerossina e svolgendo servizio anche a Corno di Rosazzo. E c’è il caporal maggiore Giuseppe Pezzarossa, di Luzzara (Reggio Emilia), bersagliere ciclista, l’ultimo caduto della Grande Guerra. Se il primo era stato il 24 maggio 1915 Riccardo Giusto (questo è il vero cognome e non Di Giusto, come ormai accertato), ferroviere udinese di San Gottardo, Pezzarossa fu dunque l’ultimo. E c’è ancora un ragazzetto, Alberto Riva, sottotenente nato nel 1900, quindi di appena 18 anni.

Si era arruolato volontario allontanandosi da casa. Ardito tra i bersaglieri, aveva partecipato in prima linea a tutta l’offensiva di Vittorio Veneto. Tanto ardore fu troncato da una pallottola e venne sepolto nel cimitero di Ariis. Il libro di Pennazzato va letto per conoscere anche tali storie silenziose, il vero volto della guerra. Di quella e di tutte. –



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