La filosofa Zupančič: le questioni etiche fra realtà e disconoscimento
Sabato 26 ottobre, alle 19 nella Torre di Santa Maria a Udine, le sarà consegnato il Premio Udine Filosofia nell’ultima giornata del Festival Mimesis

È fra i pensatori più all’avanguardia nel panorama del pensiero contemporaneo, la filosofa slovena Alenka Zupančič, cui sabato 26 ottobre, alle 19 nella Torre di Santa Maria a Udine sarà consegnato il Premio Udine Filosofia nell’ultima giornata del Festival Mimesis.
La studiosa slovena è un’esperta di Jacques Lacan, il pensatore francese che nei suoi studi ha interfacciato filosofia e psicoanalisi, tracciando una strada originale alla speculazione filosofica e alla teoria e pratica psicoanalitica. Su questa strada vanno gli studi della professoressa Zupančič che spaziano da questioni di etica, di sessualità, di letteratura e ultimamente sui comportamenti spesso contraddittori tra quanto sappiamo e come ci comportiamo.
Che è poi l’argomento del suo ultimo libro, Disconoscimento (Meltemi 2024), che sarà presentato in un incontro aperto a tutti in dialogo con Sergio Adamo. «Libro – precisa la professoressa Zupančič –, che si occupa della seguente domanda: com’è possibile che, nonostante la conoscenza delle minacce catastrofiche alla nostra esistenza, nulla cambi fondamentalmente nel nostro atteggiamento di base, che rimane “business as usual”? In psicoanalisi, questa struttura è nota come Disconoscimento, che si differenzia dalla semplice negazione. Ad esempio, non nego la realtà del cambiamento climatico. Al contrario, riconosco di essere pienamente consapevole della sua esistenza. Eppure, continuo a vivere esattamente come facevo prima. La formula potrebbe essere espressa così: Lo so molto bene, ma tuttavia. .. (continuo a comportarmi come se non lo sapessi). Questa struttura paradossale permette alla conoscenza di distanziarci dalle conseguenze di questa conoscenza. Questo fenomeno è evidente non solo a livello individuale, ma ancor di più a livello sociale, riportandoci a ciò che ho definito come la scissione interna della ragione stessa».
Tornando a filosofia e psicoanalisi, quale rapporto intercorre tra le due discipline?
«Ciò che Freud ha scoperto e formulato è che l’inconscio è un’attività, un processo di pensiero che segue una sua logica e delle sue regole. Non è arbitrario né puramente irrazionale. Se ciò che chiamiamo razionalità è una combinazione di processi consci e inconsci, questo non implica una degradazione della razionalità. Piuttosto, significa che dobbiamo comprendere la razionalità in modo diverso–come qualcosa di scisso dall’interno, piuttosto che opposto alle pulsioni irrazionali e oscure. Oggigiorno ci chiediamo spesso come sia possibile che il progetto dell’Illuminismo sia finito con un trionfo dell’oscurantismo la diffusione di credenze strane, la sfiducia nella scienza e il populismo che si basa su tutto tranne che sull’argomentazione razionale. La psicoanalisi lacaniana offre una risposta: non sono state le forze e le pulsioni oscure a sopraffare la ragione e a sconfiggere la conoscenza e l’evidenza, perché ragione e conoscenza non sono monolitiche. Contengono vere contraddizioni e scissioni interne».
Nello specifico dei suoi studi, qual è il suo approccio alla psicoanalisi come filosofa?
«Credo fermamente che l’approccio giusto a queste questioni non sia quello di cercare di purificare o epurare la ragione da tutti i suoi elementi “irrazionali” o patologici. La filosofia deve invece pensarli fino in fondo, interagire con essi. Penso che il pensiero debba essere dialettico e che non si debba rifuggire dalle contraddizioni. Come diceva Hegel: La contraddizione è la regola della verità; la non-contraddizione è la regola del falso. Credo che la psicoanalisi non possa che essere d’accordo con questo».
In un mondo come il nostro in cui, grazie all’avvento delle nuove tecnologie digitali, il reale sembra sempre più sfumare, soprattutto nei rapporti umani, nel virtuale, quale posto hanno o dovrebbero avere filosofia e psicoanalisi?
«Le fabbricazioni complete della realtà, che non possiamo più riconoscere come tali, sono certamente spaventose e profondamente disorientanti. Tuttavia, ciò che oggi rimane predominante e che sostiene gran parte degli orrori del mondo non è questa realtà completamente artificiale, ma qualcosa che è sempre stato parte della realtà: il modo in cui viene presentata e incorniciata. La realtà che vediamo e con cui ci relazioniamo implica sempre una rappresentazione. Questo non significa che sia falsa; significa semplicemente che non è immediata. Quindi forse la domanda più importante è: perché alcune immagini e storie ci colpiscono, mentre altre no? Non è perché alcune siano più virtuali di altre, ma per come ci vengono presentate, come vengono incorniciate e narrate. Perché alcune persone vengono considerate vittime, con volti e storie, mentre altre sono semplicemente viste come danni collaterali? Sia la filosofia che la psicoanalisi ci spingono a porci queste domande, a insistere su di esse e ad analizzarle».
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