La guerra nei film italiani

VENZONE. Addio alle armi e La grande guerra girati in Friuli alla fine degli anni 50 rappresentano una sorta di spartiacque nell'ambito della produzione cinematografica italiana sulla prima guerra mondiale. Infatti questi due film contribuiscono a rilanciare un filone che, fino ad allora, era stato complessivamente modesto.
Durante la prima guerra mondiale, oltre a moltissimo materiale documentario, fu realizzato anche un certo numero di film di finzione, con evidenti finalità propagandistiche, di cui però pochissimi sono sopravvissuti, tra i quali Maciste alpino (1916) di Giovanni Pastrone e Mariute (1918), prodotto e interpretato dalla celebre diva Francesca Bertini.
Molto pochi sono i film prodotti nel ventennio successivo, tra cui vanno ricordati Le scarpe al sole (1935) con Camillo Pilotto e Cesco Baseggio, Tredici uomini e un cannone (1936) di Giovacchino Forzano, Piccolo alpino (1940) diretto da Oreste Biancoli, che dodici anni dopo girerà in Friuli Penne nere.
Nell'ambito della produzione filmica dell'Italia del secondo dopoguerra si sviluppa un prolifico filone patriottico che è incentrato soprattutto su episodi e vicende della seconda guerra mondiale, ma comprende pure alcune pellicole di soggetto risorgimentale e una quindicina di film sulla Grande Guerra.
Si tratta di un gruppo di opere piuttosto compatto in cui domina uno stile melodrammatico (caratteristico della produzione cinematografica nazionale di quel periodo), costruite con i canoni convenzionali della retorica patriottica, come Il caimano del Piave (1950) con Gino Cervi e Milly Vitale, Piume al vento (1950) tra i cui interpreti troviamo anche Nico Pepe, Senza bandiera (1951). Del film Fratelli d'Italia (1952), con Ettore Manni nel ruolo di Nazario Sauro, si scrisse erroneamente che era stato girato a Trieste.
Tre anni dopo Ettore Manni interpreterà la figura di Enrico Toti in Bella, non piangere!. Dato che quasi tutte queste produzioni sono di piccolo budget, si ricorre spesso all'uso di materiale di repertorio, ovvero spezzoni di documentari girati durante la grande guerra, come nel caso di La leggenda del Piave (1952) di Riccardo Freda.
Il tema della guerra entra anche in due generi allora di moda: il film musicale (Addio mia bella signora!, 1953) e il film a episodi, come Di qua, di là dal Piave (1953), Amori di mezzo secolo (1953), il cui episodio Guerra 1915-1918 è diretto da Pietro Germi; Cento anni d'amore (1954).
Di questo gruppo di film fanno parte anche due pellicole distribuite nel 1954, La campana di San Giusto e Trieste cantico d'amore, con storie di irredentisti costruite in rapporto all'attualità di quel momento storico: l'attesa del ritorno di Trieste all'Italia.
Dalla mediocrità e superficialità della maggioranza di quel tipo di pellicole si discosta Guai ai vinti! (1954), con Lea Padovani e Anna Maria Ferrero, in cui il regista Raffaello Mattarazzo, maestro del genere melodrammatico, mettendo in scena le vicende di due donne vittime della violenza dei soldati nemici nei tragici giorni della ritirata di Caporetto, affronta, anche in maniera coraggiosa per l'epoca, uno dei drammi più segreti di quella guerra.
Nell'arco di quarant'anni un grandioso e tragico evento storico come la prima guerra mondiale non aveva dunque mai ispirato al cinema italiano opere di grande respiro e di intonazione epica, come nel caso di altre cinematografie (americana, inglese, francese).
Ma in Italia il cinema, come del resto anche la letteratura, ha sempre dimostrato scarsa propensione nei confronti dell'epica. Fu dunque un kolossal hollywoodiano come Addio alle armi (1957) a smuovere quel clima stagnante che aveva relegato i film italiani sulla prima guerra mondiale nell'ambito di una produzione medio-piccola, che, anche per evitare problemi con la censura, preferiva abbinare quel tema a vicende d'intonazione prevalentemente melodrammatica e sentimentale.
Due anni dopo, a Venzone, che era stata la location principale di Addio alle armi, si gira La grande guerra, film che ha un'importanza fondamentale nella storia del nostro cinema perchè apre la strada a un nuovo stile nei confronti del genere bellico.
Mario Monicelli ha saputo infatti realizzare un grosso film spettacolare, con un'accurata ricostruzione dal punto di vista storico-ambientale, e nello stesso tempo depurare la rappresentazione della prima guerra mondiale dalla propaganda retorica divulgata nei decenni precedenti. (c.g.)
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