La mostra di Illegio ricca di capolavori e c’è pure Caravaggio

Uno dei pregi della rassegna è l’aver raccolto nomi famosi accostati a capolavori di artisti italiani e stranieri poco noti

TOLMEZZO. Nella drammatica giustapposizione dei gruppi di personaggi, nella raffinata intersecazione di piani, che animano la Morte della Vergine conservata al Louvre, Caravaggio fece della Maddalena seduta in pianto al culmine discendente della grandiosa composizione - il capo reclinato, il volto nascosto - «un solo massello luminoso; della sua mano sul ginocchio un grumo solo di luce rappresa», ha osservato Roberto Longhi.

Ma c’è un’altra opera, ora esposta nella mostra Amanti – Passioni umane e divine. di Illegio, nella quale la stessa figura «isolata come soggetto assoluto di grandissima suggestione» - ha scritto don Alessio Geretti, storico curatore delle rassegne di San Floriano - campeggia con folgorante visione.

L’opera, di collezione privata, è stata rintracciata dall’appassionata acribia critica di Geretti, aggiungendosi ai capolavori che nel piccolo centro carnico richiamano visitatori da tutta Europa (ampiamente oltre i 25 mila).

Probabilmente questa Maddalena (1605-1606) va letta come uno studio preliminare per il telero del Louvre. Potrebbe peraltro essere immaginato un effetto cinematografico: il particolare della scena corale porrtato a pieno schermo.

Nella figura della santa Caravaggio introduce il realismo più umile della quotidianità. Un unico modulo luminoso trascorre longitudinalmente traendo il personaggio dalla profondità dell’ombra, fa rifulgere plasticamente il bianco avvampante della manica della camicia, accarezza morbidamente la veste ramata, accende la carnalità della schiena ignuda, fa intravedere il lobo dell’orecchio, dissolvendosi infine nella massa scura dei capelli.

Il valore religioso dell’opera si esprime attraverso forme essenziali, alludendo alla presenza di Dio nell’umanità istintiva della povera gente e giunge - sottolinea ancora Geretti – «quasi a una poetica da ermetismo di drammatica potenza spirituale». Semplicità e intensità emotiva la caratterizzano.

Il quadro del Caravaggio è stato inserito nella saletta dedicata alla vittoria dell’amore sulla fragiltà, sulla provvisorietà, sulla morte. Vi sono esposte altre due raffigurazioni di Maria di Magdala, di Orazio Gentileschi e dello spagnolo Bartolomé Murillo, e la Morte di Lucrezia di Leandro da Ponte detto Bassano.

Nella Maddalena (1611-1612) di Orazio Gentileschi venne ritratta Artemisia, figlia del maestro, lei pure famosa pittrice (presente in mostra con un Cupido e Venere dormiente) che era stata vittima di violenza da parte di un amico del padre, per cui la sua reputazione venne rovinata. Orazio, presentandola nei panni della discepola di Gesù, volle riscattarla pubblicamente.

Maddalena-Artemisia è rapppresentata, nella sua delicata bellezza, con espressione risoluta, nelll’atto di pentirsi dei trascorsi mondani simboleggiati dal teschio che regge nella mano. La camicia e il mantello ridondanti richiamano un’eleganza popolaresca:

Prosternata in posa estatica è la Maddalena (1650-1655). di Bartolmè Esteban Murillo, uno dei pittori più grandi di Spagna. Sull’inginocchiatoio sono posati la croce, a ricordare il sacrificio di Gesù, l’ampolla di unguento che la santa aveva portato al sepolcro vuoto, diventando la prima testimone della Resurrezione, il teschio, ermblema delle cose del mondo abbandonate per il Cristo.

È coperta da un semplice manto cremisi movimentato da panneggi. Irradia dal delicato volto in preghiera grazia, dolcezza, malinconia, accorato sentimentalismo religioso. Sullo sfondo in ombra profonda si delinea il profilo di un albero scosso dal vento della passione mistica.

Sontuosa, risoluta nella sua trattenuta sensualità è la Lucrezia (1600-1620) di Leandro da Ponte detto Bassano La vicenda della bellissima moglie del generale Collatino, che si dà la morte con l’affilato pugnale, offesa per la violenza subita del settimo re di Roma Sesto Tarquinio, è resa con superbo taglio veronesiano che “esplode” nel corpetto di lussureggiante rosso di Damasco slacciato sul generoso petto nudato.

Uno dei pregi della mostra è l’aver raccolto, accanto a nomi famosi, capolavori di artisti italiani e stranieri poco noti. L’Erodiade suona il liuto (1634-1635) di Antonio della Corna nella sua trasognata sospensione surreale esprime una sorta di recupero del tonalismo lirico di Giorgione.

La Salomè con la testa del Battista del parigino Simon Vouet (1625) è presentata nello sfarzo di una ragazza ammodo che esprime peraltro con una sorta di soddisfatta esibizione l’orrore della testa mozza del Battista.. Nella Danza di Salomè del croato Ivan Tisov (1902) la dissolta eccitazione cromatica s’intride di accensioni secessioniste.

Scatenato dinamismo espressionista ritma la tela ispirata al XX Canto della Gerusalemme liberata in cui Rinaldo impedisce ad Armida di suicidarsi (1625) del genovese Giovanni Ansaldo. Andrea Vaccaro ambienta l’idillio di Rinaldo e Armida (1640-1650) in un rigoglioso paesaggio dal vivido, acceso cromatismo di scuola napoletana

Ha impostazione da battute conclusive di opera lirica verdiana la Morte di Giulietta e Romeo del veneto Pietro Roi (1882), con i due prortagonisti distesi nell’estremo abbraccio sul pavimento del palcoscenico. Luminosità vaporosa e sensuale, ariosa leggerezza, ingentiliscono l’Amore e Psiche (1850) di Karoly Brocky, uno dei maggiori maestri della pittura ungherese ottocentesca.

In chiusura, accanto ai Giovani innamorati nel giardino (1890), di Ernst Kliimt, vicino ai preraffaelliti inglesi piuttosto che al Secessionismo del fratello Gustav, alcune gemme del Tre e Quattrocento. Risente dell’impronta miniaturistica umbra la tempera su tavola di Ottaviano Nelli da Gubbio Giovanni Battista rimprovera Erode per Erodiade.(1425). I tre personaggi vengono isolati a mezza figura entro altrettante arcate a tutto sesto.

Nella prima arcata il Battista, indicando il re, dispiega un cartiglio con la scritta in latino tratta dal Vangelo di Giovanni “Io sono la voce che grida nel deserto”. Nella seconda arcata Erode; rappresentato in una veste d’azzurro lapislazzulo e la corona regale, lascia trasparire influssi di gusto francese. Dalla terza arcata si affaccia Erodiade in fiammante abito rosso alla moda del tempo.

Risente delle teatrali messe in scena rinascimentali La vittoria della Castità (1470-1490), ispirata ai Tronfi del Petrarca, di Gherardo di Giovanni Fora, pittore introdotto da Lorenzo il Magnifico nella cerchia di umanisti della corte medicea.

Tra le tavole che raccontano il Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria rifulgono in particolare il trittico gotico fiorito di Jacopo di Mino del Pellicciaio (1350-1399), fulgente sul fondo oro con la raffinata delicatezza di Simone Martini, e l’araldico Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria e Santi (1350-1399) del Maestro dell’Incoronazione, con gli squisiti tessuti delle vesti ornati di passamanerie e di ricami e la ricca tappezzeria del fondale.

Fanno da punti d’aggregazione le due deliziose sculture in gesso di Antonio Canova Endimione dormiente (1822) e Amore e Psiche (1810).

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