La negatività da bruciare ha le fattezze della strega

Cosa c’entra la Befana con l’Epifania friulana? La risposta è: assolutamente nulla. La Befana è molto più “giovane”. Appare in Italia centrale solo nel ’500, anche se ormai fa parte di un club di creature femminili inquietanti che infestano mezza Europa, dalle “Babe” alle Krivapete di area slava fino alla Perchta, Signora delle Bestie, e alle Krampe, i Krampus femmina, in ambito germanico. Tuttavia, se non ci fosse stato il Ventennio che nel 1928 istituzionalizzò la “Befana fascista” diffondendone la natura di “festa laica e meritocratica” per dispensare doni ai giovani Balilla, questa figura avrebbe avuto poca fortuna.

Nei falò di pianura si usa incarnare il principio maligno da bruciare con un pupazzo dalle fattezze di strega: nel retaggio arcaico la negatività era donna, vecchia, miserabile e marginale. Non a caso gli inquisitori insistevano sulla bruttezza delle imputate. Su queste basi riti del fuoco come la “Femenate” che brucia nelle valli del But e d’Incarojo han preso nome di “donnaccia”. Ma essa non è un fantoccio: è il nome della stessa pira che viene accesa. Il “Rogo de la vecia”, poi, in Friuli occidentale e in Carnia, è tradizione di metà Quaresima e più che con l’Epifania ha a che fare con un viatico propiziatorio che agisce bruciando un fantoccio di vecchia zitella. —

W.T.



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