La Scala come simbolo dal Risorgimento alla rinascita post bellica
Carlotta Sorba racconta domenica al Giovanni da Udine l’istituzione voluta da Maria Teresa: «Era un luogo vivacissimo». Il concerto di Paolo Conte? «Polemiche pretestuose»

Il teatro, pur nelle sue molteplici e differenti declinazioni, ha rappresentato nel corso dei secoli il luogo in cui una comunità riconosce se stessa e celebra la sua storia. Ecco perché raccontare un Teatro come quello milanese della Scala significa raccontare una parte della nostra storia nazionale e non solo.
E il Teatro alla Scala sarà al centro della Lezione che Carlotta Sorba, docente di storia contemporanea all’Università di Padova, terrà domani, domenica 19 alle 11 al teatro Giovanni da Udine nell’ambito della quinta edizione de Lezioni di Storia/ Le opere dell’uomo. Carlotta Sorbi sarà presentata da Valerio Marchi.
Al teatro, inteso come spazio fisico, sociale e mentale e come luogo di elaborazione e diffusione delle rappresentazioni culturali, la professoressa Sorba ha dedicato diversi studi, in particolare nel volume Il melodramma della nazione. Politica e sentimenti nell’età del Risorgimento (Laterza, 2015).
Il Teatro alla Scala, fatto costruire da Maria Teresa su richiesta delle maggiori famiglie milanesi, è dal 1778 il luogo simbolo del rapporto tra il potere politico, la città e le sue classi dirigenti. E che ha avuto in quella del melodramma la sua stagione più rappresentativa.
«In effetti – conferma la professoressa Sorba – quello ottocentesco fu un periodo di grande vitalità per il teatro. Perché da una parte fu fortemente voluto e finanziato dal potere austriaco che lo usò anche anche come arma di controllo e di costruzione del consenso e dall’altra il luogo in cui i patrioti manifestavano i loro ideali.
Anche se da questo punto di vista non furono molti gli episodi di aperta contestazione o dissenso, perché il teatro era molto presidiato dall’esercito e dalla polizia.
Ci furono alcuni episodi eclatanti, come lo sciopero del pubblico per cui alcune volte ci si rifiutò di andare a teatro, magari mandando la servitù. Forte fu invece la contestazione nel 1859 alla vigilia della seconda guerra di indipendenza, quando durante una recita di Norma di Bellini all’aria Guerra guerra il pubblico insorse platealmente. Ma ripeto si era già in clima di guerra».
Nel corso del tempo la Scala divenne poi simbolo ad esempio negli anni del secondo dopoguerra della ricostruzione con la politica del sindaco socialista Greppi che puntò a far di Milano, proprio attraverso gesti come quello della riapertura della Scala con Toscanini tornato sul podio dopo l’esilio americano divenuto icona della democrazia, la capitale morale del Paese, o ancora dopo negli anni ’60 con la Scala divenuta luogo di auto celebrazione della mondanità cittadina non disgiunto però da tentativi di ampliare il pubblico e nel ’68 il bersaglio della contestazione con il lancio di uova marce alla prima del 7 dicembre…
«Certamente da questo punto di vista la Scala nei grandi momenti simbolici è molto presente nella vita della città. Anche se io nella mia lezione non arriverò così avanti perché mi limiterò a un discorso molto ottocentesco fino a Puccini. Perché farò un discorso su come cambia l’esperienza operistica dall’inizio dell’800 a quello del’900 e come con Toscanini in particolare l’opera diventa non più un genere commerciale ma un genere d’arte, autoriale che si ascolta in reverente silenzio, al buio.
Mentre sottolineo molto il fatto che ai suoi inizi il teatro e l’opera erano luogo e momento di grande sociabilità. Cosa che era vista molto polemicamente ad esempio dagli illuministi che si scagliavano contro l’opera definita da Pietro Verri “un genere per gli oziosi”».
«Infatti – prosegue Carlotta Sorbi – su questo insisterò, si andava a teatro tutte le sere, perché durante le recite si viveva non solo in palcoscenico ma soprattutto nei palchi e nei retropalchi, dove si mangiava, si tessevano storie d’amore e si consumavano tradimenti: insomma il teatro era luogo di vita vivacissima e non solo o tanto di godimento artistico».
Una domanda che esula dal contesto della lezione che però sta a indicare ancora la centralità che ha la Scala nel dibattito culturale, seppur stantio, ozioso per riprendere Verri, del nostro tempo. Che ne pensa di Paolo Conte sul palcoscenico del Piermarini e delle polemiche che ne sono scaturite. «Tutto il bene possibile, e le polemiche le trovo assolutamente pretestuose».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto