La storia di Enzo Ferrari nel racconto di Mann: l’uomo vincente più forte di tutto

La storia del “Drake” che ha fondato il Cavallino rampante nell’eterna battaglia dei “filmoni” natalizi, tanto sul grande schermo quanto sulle piattaforme

Gianmatteo Pellizzari
Una scena del film di Michael Mann sulla vita di Enzo Ferrari
Una scena del film di Michael Mann sulla vita di Enzo Ferrari

UDINE. L’eterna battaglia dei “filmoni” natalizi sta per cominciare, tanto sul grande schermo quanto sulle piattaforme, e le due truppe mandate in avanscoperta dalle major hollywoodiane aprono già il fuoco.

Due truppe davvero aggressive, forse le più potenti: quelle di “Wonka”, pronte a conquistare le famiglie e il pubblico teen (ci pensa il bel faccino di Timothée Chalamet), e quelle di “Ferrari”, pronte a conquistare la platea generalista, i tifosi del cavallino rampante e i discepoli di Michael Mann. Tra cui noi (“Manhunter - Frammenti di un omicidio” farà sempre parte della nostra top ten).

Non è difficile ricordare le arzille bordate patriottiche di Pierfrancesco Favino, innescate a Venezia proprio da “Ferrari”, ma è facilissimo dimenticarle: al di là dei torti e delle ragioni, qui si respira cinema. Cinema di alto profilo.

Sebbene derivi da una biografia monumentale, “Ferrari - L’uomo, l’auto, il mito” di Brock Yates, non è un biopic: è il ritratto di un’icona del Novecento alle prese con il suo annus horribilis, il 1957, dove ogni singolo evento sembra costruire un inesorabile naufragio (dalla morte del figlio Dino agli ultimi e tempestosi battiti del matrimonio, fino alla crisi della scuderia). È il ritratto di un uomo roccioso e ambizioso che si trova improvvisamente a danzare sull’orlo del precipizio, tormentato dall’idea di apparire fragile e dall’urgenza di brillare ancora (dietro l’angolo pulsa il traguardo della Mille Miglia). Il resto, si sa, è storia. Anzi: leggenda.

Tutta l’epica narrativa di cui scarseggia il vanaglorioso “Napoleon” di Scott la troviamo nello splendido “Ferrari” di Mann: 130 minuti che scivolano via con la potenza, l’arroganza, l’eleganza di un bolide rosso.

E Favino ci perdonerà se dedichiamo un applauso anche all’americanissimo Adam Driver.

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