La tragedia dell’Italia e il dirigibile che sfidò i ghiacci del Polo Nord: il ricordo 90 anni dopo

Parla un discendente del giornalista che scampò alla morte Il raduno alla Casa dell’aviatore delle famiglie dell’equipaggio

MICHELE TOMASELLI

Novant’anni fa 17 persone, tra equipaggio e soccorritori, persero la vita durante una missione italiana tra i ghiacci del Polo Nord. Cesco Tomaselli scampò alla tragedia grazie alla sorte. Nel 1928, il Corriere della Sera gli aveva affidato il compito di seguire una nuova impresa, soltanto due anni dopo il successo della trasvolata dell’aeronave “Norge”, capitanata dal duo Nobile e Amundsen, cui il giovane Tomaselli aveva partecipato come inviato di bordo, ma solo fino alla Baia del Re (isole Svalbard). Fu allora che, per la prima volta, dopo svariati tentativi, un mezzo aereo costruito dall’uomo raggiunse il punto più estremo dell’emisfero boreale.

Dopo il successo ottenuto, il generale Nobile si convinse di tentare una nuova trasvolata artica. Venne stipulato un accordo con la Reale Società Geografica Italiana per l’esclusiva dei collegamenti radiotelegrafici, garantiti dalla nave d’appoggio Città di Milano. L’altra condizione richiedeva che partecipassero all’impresa anche due giornalisti, Ugo Lago, del Popolo d’Italia e appunto Cesco Tomaselli, quest’ultimo richiamato col grado di capitano.

Il 15 aprile 1928 il dirigibile Italia col suo equipaggio partì da Milano Bresso e il 6 maggio arrivò alla Baia del Re.

A causa delle difficili condizioni atmosferiche e per garantire un esito positivo della missione, Nobile decise di limitare il trasporto a sedici persone, includendo la presenza di un solo giornalista. Così, Tomaselli e Lago decisero di giocarsela a testa e croce. La moneta favorì Lago, perciò Tomaselli, un’altra volta, si fermò alla Baia del Re.

Intanto il Dirigibile, conquistato il Polo Nord, essendosi imbattuto in una violenta tempesta, urtò la banchisa polare sfasciando la cabina di comando, dalla quale caddero viveri, diverse attrezzature, la cagnetta mascotte Titina e nove membri dell’equipaggio, tra cui Mariani, Viglieri, Zappi, Trojani, Biagi, Malmgren, Nobile e Cecioni (questi ultimi due, peraltro, gravemente feriti) con Pomella che perì sul colpo. Il destino fu più avverso per gli altri uomini dell’equipaggio che rimasero intrappolati sulla navicella, allontanatasi senza governo, e che non vennero più ritrovati: tra questi Ugo Lago. Le otto persone rimaste sulla banchiglia riuscirono in qualche modo a sopravvivere e poi a essere trovate, grazie alla tenda colorata di rosso. Durò a lungo il supplizio di questi “eroi”, trascorso in un “inferno bianco”, cimentandosi a contattare via radio senza fortuna la nave Città di Milano.

In occasione del 90esimo anniversario e per la prima volta dopo 90 anni, i discendenti di quell’equipaggio (tra cui chi vi scrive, Pino Biagi, Filippo Belloni, Sergio Alessandrini, Ascanio Trojani, Gabriella Vacca, Laura De Grassi di Pianura, Patrizia Viglieri, Romina Malfa, Carla Schettino Nobile, Stefania Settimi e Petter Johannesen, quest’ultimo pronipote di Roald Amundsen) si sono radunati a Roma alla Casa dell’aviatore per ricordare i propri avi. Inoltre, su invito del Cnr raggiungeranno la “Base artica dirigibile Italia” presso la Baia del Re, in occasione del passaggio dell’impresa velistica denominata PolarQuest 2018 (capo progetto Paola Catapano) che dall’Islanda arriverà nelle isole Svalbard nel mese di agosto.



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