La vicenda Giuliano e la lotta al banditismo: un carabiniere nella Sicilia del 1950

Paolo Gaspari riscopre la figura del colonnello Ugo Luca I tragici anni della sfida della malavita allo Stato
Gianni Oliva



Il colonnello Ugo Luca è famoso per essere stato il capo del Comando Forze Repressione Banditismo costituito nel 1949 per sconfiggere Salvatore Giuliano. Quando il bandito viene ucciso nel luglio 1950 il colonnello è celebrato come una gloria nazionale e la sua versione di un conflitto a fuoco nelle strade di Castelvetrano tra il bandito e i carabinieri del capitano Parenze diventa una pagina di storia patria. Poche settimane dopo, quando emerge la verità dei fatti e l’“Europeo” scopre che il conflitto a fuoco è una messinscena mentre la fine del bandito è causata dal tradimento del suo luogotenente Gaspare Pisciotta che lo ha ucciso nel sonno, Luca si assume la responsabilità della versione ufficiale.

Paolo Gaspari provvede ora a restituire spessore critico alla figura di Ugo Luca e lo fa con questa documentatissima e minuziosa biografia dalla quale emerge un personaggio dalla personalità forte, intelligente e determinato, che supera avventure incredibili.

Nato a Feltre nel 1892, volontario nei carabinieri a 18 anni, combatte in Libia nel 1911 con il futuro generale Grazioli e nel 1916, tenente, partecipa alla presa di Gorizia e a tutte le operazioni del 1915-’17 sono dedicate pagine avvincenti, frutto delle ricerche che da decenni l’autore compie sul periodo. Il 26 ottobre 1917 Luca s’infila tra i reparti del battaglione da montagna del Württenberg comandati da Erwin Rommel sul Matajur. Privo dell’adeguato sostegno da parte dei superiori, rimane isolato, ferito e fatto prigioniero a Castelmonte.

Al rientro in patria con due medaglie d’argento e una di bronzo, chiede di essere aggregato al corpo di spedizione in Turchia con funzioni di gendarmeria: è il periodo dello scontro drammatico tra la Grecia e la Turchia (dal quale emergerà la figura di Mustafà Kemal Atatürk), l’Italia liberale, che già occupa le isole egee del Dodecaneso, si ritaglia uno spazio politico, ma non ha risorse: ha solo uomini, e Luca è uno di questi. Diventato capitano, egli comanda a Scalanova, poi è a Smirne a salvare i profughi greci e armeni, e a Rodi, dove resta sino al 1932 come capo militare.

A metà degli anni Trenta Luca è maggiore e partecipa alla guerra civile di Spagna, inquadrato nella divisione Littorio. La scelta non deve stupire: vi è obbligato in quanto rifiuta d’iscriversi al Partito nazionale fascista e per di più si scontra con un potente gerarca: il comandante generale dell’Arma, per salvarlo, lo induce a quella scelta. Nell’Italia del 1936 la propaganda di regime ha permeato la società italiana in ogni nervatura, la lotta contro il disordine anarco-comunista e per l’affermazione dei valori di patria, famiglia e fede (così come viene presentato l’intervento) trova una condivisione assai larga: uomo d’ordine per scelta professionale, uomo d’azione per temperamento, Luca si scontra col generale Roatta dedito a traffici finanziari e si trova a comandare una sorta di reparto d’assalto dei carabinieri. Segue il conflitto sino alla presa di Santander nel 1938 dove non viene decorato di medaglia d’oro e, in quanto non fascista, le sue imprese non sono pubblicizzate, ma il valore profuso gli assicura altre 2 medaglie d’argento per la presa di Malaga.

Ritornato in Italia, sceglie la responsabilità del Servizio Informazioni dell’Aeronautica che mantiene durante gli anni della guerra fascista 1940-43, entrando in contatto diretto con Mussolini e con Ciano in quanto responsabile delle comunicazioni con il Dodecaneso. Luca non ha esitazioni a schierarsi a fianco del re sia il 25 luglio 1943, sia l’8 settembre, quando è uno dei capi del servizio informazioni nei gruppi resistenziali clandestini del colonnello Giuseppe Bertone e del Fronte clandestino militare del colonnello Cordero Lanza di Montezemolo, e qui guadagna un’altra medaglia d’argento. Con le sue 5 medaglie d’argento, 2 di bronzo e 10 encomi solenni è il carabiniere più decorato della storia.

Nel 1949 lo Stato è fortemente in crisi nel mantenimento dell’ordine in Sicilia: la banda Giuliano ha ucciso 120 tra carabinieri e agenti di polizia e il 1 maggio 1947 si rende protagonista della strage di braccianti a Portella della Ginestra, gode di troppe protezioni e complicità sospette. Il governo decide di sostituire l’Ispettorato generale di pubblica sicurezza per la Sicilia con un nuovo organismo affidato ai carabinieri. Il colonnello Luca dispone di un piccolo esercito: 1.500 tra carabinieri e guardie di ps. L’atmosfera politica è tuttavia cambiata: le elezioni politiche del 18 aprile 1948 hanno garantito una salda maggioranza alle forze moderate d’ispirazione cattolica. Le ragioni che negli anni precedenti hanno spinto boss mafiosi come Calogero Vizzini, separatisti come il duca Caraci e i baroni La Motta e Tasca, grandi latifondisti a sostenere il banditismo come arma per una separazione dell’isola dal resto d’Italia in caso di vittoria delle sinistre, non hanno più ragione d’essere. Il bandito Giuliano, con l’organizzazione militare della sua banda e il suo dinamismo continua però a uccidere a sequestrare per riscatto e a taglieggiare. Il colonnello Luca agisce con squadre che pattugliano tutta la Sicilia occidentale catturando centinaia di latitanti della banda. con il mitra combatte lui stesso. Distrutta la banda e rimasto solo Giuliano, il bandito fu ucciso da Gaspare Pisciotta che già collaborava con Luca.

Paolo Gaspari, nella sua ricostruzione dei fatti, appare assolutorio nei confronti dell’ufficiale, riconducendo la versione falsificata alla necessità di proteggere il collaboratore da ritorsioni in una guerra che si trascinava irrisolta da anni, costata centinaia di vittime tra militari e civili. L’autore ha saputo scoprire dal nulla una vicenda così emblematica e ricostruirla con la sua sperimentata competenza di storico e una scrittura documentata e fluida. —



Riproduzione riservata © Messaggero Veneto