Ladrones, quando Stanlio e Ollio si doppiavano in altre lingue

Gian Paolo Polesini

E venne il sonoro, nell’ottobre del 1927. Immaginatevi il caos dopo decenni di cinema silente quando “Il cantante di jazz” si fece sentire sugli schermi americani.

Molti produttori s’ingegnarono, lì per lì, giusto per non restare indietro e meglio affrontare la prima vera rivoluzione del cinema.

Stringendo su ciò che ci preme, stasera alle 21 alle Giornate pordenonesi (a cura del progetto S.O.S. Stanlio e Olio), una rarità sarà riservata agli spettatori del Verdi: “The Night Owl”, diretta da James Parrott, con Stan Laurel e Oliver Hardy, una versione spagnola del ’30 — il titolo è “Ladrones” — con i primi timidi tentativi di doppiaggio. Nulla di che, Olio dirà una parola soltanto, ma i rumori sono quelli originali e con i sottotitoli in italiano.

In realtà il mitologico produttore Hal Roach — quelli più maturi cresciuti con le comiche dei due si ricorderanno di certo di questo nome — obbligava gli attori a estenuanti sedute sul set in varie lingue. Oltre all’inglese, al francese e al tedesco, si aggiunsero pure l’italiano e, appunto, lo spagnolo.

Le buffe inflessioni riprese in seguito dalle storiche voci di Stan e di Oliver, Mauro Zambuto e Alberto Sordi (in origine davanti ai microfoni ci stavano Carlo Cassola e Paolo Canali), derivarono proprio dalle storpiature dei vari idiomi create dalla scarsa conoscenza della pronuncia. Ecco, è necessario aggiungere che nessuna copia fonetica italiana è stata ritrovata. Ci va benissimo pure quella ispanica, fra l’altro le uniche parole che ascolteremo hanno la stessa intonazione.

Quella di Zambuto e di Sordi fu la coppia più “orecchiabile”, non scordiamoci però di altri personaggi che ci fecero compagnia nella lunga attraversata dei due americani in Italia come Elio Pandolfi e Pino Locchi, Fiorenzo Fiorentini e Carlo Croccolo, Enzo Garinei e Ariani, forse gli ultimi del plotone.

Altre due curiosità: la sigla delle comiche, Cuckoo song, (impossibile non ricordarla) compare in questa pellicola per la prima volta, mentre il direttore della fotografia George Stevens diventerà regista e vincerà ben due Oscar.

Incredibile come cent’anni dopo si rida ancora moltissimo per gag viste e riviste milioni di volte, eppure la semplicità dei gesti e i meravigliosi tempi comici assicurano l’immortalità del genere.

Un uomo che cade in un tombino, una specie di must che compare in tutti i film dei primi del Novecento, non smette mai di divertire, al contrario dei tentativi d’imitazione contemporanei che hanno la forza di sopravvivenza del respiro di un asmatico.

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