L’“arte degenerata” che sfidò il nazismo
Seebüll, 80 anni dopo, tra i capolavori di Emil Nolde

Seebüll, agosto. Non è un paesino tedesco o una cittadina al confine con la Danimarca, Seebüll, bensì il luogo in cui Emil Nolde visse e dipinse dal 1927 al 1956: il suo studio, costruito su un dosso artificiale, si erge solitario in un'immensa distesa d'erbe ondeggianti sotto il vento del Mare del Nord. Non lo si vede, quel mare freddo, a Seebüll, ma lo si sente, come nei quadri più noti del grande espressionista, furente in tempestose forme e violenti colori.
Ai piedi della collinetta c’è uno sgargiante giardino, disegnato dallo stesso pittore, pieno di quei fiori che appaiono nei suoi quadri a olio, ma soprattutto nei prodigiosi acquerelli appesi nelle stanze più piccole.
Quel solitario artista, nato nel 1867, si chiamava Hansen per lo stato civile, ma a partire dal 1902 aveva voluto chiamarsi Nolde, assumendo in arte il nome del suo paesino di nascita (ora in Danimarca per l'esito di un referendum del 1926).
E con il nome di Nolde aveva partecipato, ai primi del Novecento, ai grandi movimenti d'avanguardia (Die Brücke, Blaue Reiter...), con esiti esaltanti, testimoniati da decine e decine di quadri a olio esposti nelle sale più spaziose.
Fra paesaggi, maternità, ritratti, autoritratti, scene di gruppo c'è anche un grande polittico sulla vita di Cristo. che occupa una grande parete, ed è dominato al centro da una Crocifissione, innovativa rispetto ai canoni delle tradizione per forme e colori: basterebbe il dettaglio del getto dei dadi per dire la geniale originalità di Nolde.
E quando ci si concentra sulle tempeste del Mare del Nord, pare di riascoltare i versi di Thomas Stearns Eliot: «L’ululato del mare,/ il guaito del mare,/ sono voci differenti/ che si odono spesso assieme ...». Siamo ben lontani da “Le cimetière marin” di Paul Valery, a Séte, sul Mediterraneo: “La mer, la mer, toujours recommencée”.
Affascinati e assorbiti da quel luogo dell’anima, non si può non ricordare che più di trenta opere di Nolde, giusto ottant’anni fa (nell’estate del 1937), furono esposte con dileggio dai nazisti alla mostra dell’Entartete Kunst, dell’arte degenerata, a Monaco di Baviera. Malamente affastellate sulle pareti del Museo archeologico c’erano seicentocinquanta opere di Beckmann, Chagall, Dix, Ensor, Ernst, Itten, Kandinsky, Kirchner, Klee, Kokoschka, Marc, Nolde, van Gogh... scelte da una commissione, della quale faceva parte lo stesso Hitler, fra le sedicimila requisite nei più grandi musei della Germania: l’Olocausto dell’arte contemporanea!
Emblematico fu il caso di Nolde, iscritto al partito nazionalsocialista: fu accusato di non rispettare i canoni della bellezza nazista e nel 1941 gli fu proibito di insegnare e dipingere.
Egli passò allora alla pittura ad acquerello, coltivata in segreto perché non lasciava tracce olfattive, nella sua casa o nel suo studio, come la pittura a olio: era meglio non farsi trovare in flagranza di reato in caso di (probabili) ispezioni poliziesche!
Non sappiamo che cosa avrà pensato Nolde nel tempo dell’ostracismo. Per certo sappiamo che molte delle opere requisite furono poi vendute all’asta in Svizzera, a Lucerna; le rimanenti date alle fiamme a Berlino nei giorni dell’Apocalisse.
La mostra dell’Entartete Kunst, diventata itinerante con ingresso gratuito, fu a ogni modo visitata da tre milioni di tedeschi, e sicuramente raggiunse effetti contrari a quelli progettati.
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