Le cineaste conquistano il Far East Film Festival: dodici registe in prima linea
Dal boom dell’alfabetizzazione alla riscossa artistica: l'Asia raccontata dalle nuove voci femminili tra emancipazione, cinema e diritti civili.

Sorvoliamo con cura un Pianeta sensibile, diciamo che la donna qui esprime tutta la sua emotività. È vero, spesso l’universo cinematografico femminile patisce il patriarcato, le gerarchie pregresse e solamente le stelle lucenti finiscono trionfanti nei festival.
Una minoranza paparazzata, cliccata, selfata, instagrammata. La truppa restante è una ballerina di fila.
Però quest’anno prorompe la riscossa al “Far East Film Festival 27”, un fiorire di cineaste come mai in passato: ben dodici signore e signorine sono finite con determinazione dietro la cinepresa. Record mondiale fareastiano.
Eccole: Shao Yihui, Cina, “Her Story” (in programma oggi alle 19.30 al Giovanni da Udine), Yin Lichuan, “Like e Rolling Stone”, Cina. Oliver Chan, “Montages of e modern Motherhood”, Hong Kong. Machimoto Saki, “See You Tomorrow”, Giappone. Ohku Akiko, “She Taugh Me Serendipity”, Giappone. Janus Victoria, “Diamonds in the Sand”, Filippine. Antoinette Jadaone “Sunshine”, Filippine. E. oni, “Love in The Big City”, Corea del Sud. Kim Han-Kyul, “Pilot”, Corea del Sud. Kim Bo-sol, “The Square”, Corea del Sud. Shuhaimi Baba, “Pontinak-Scent of The Tuber Rose”, Malaysia. Huang Xi, “Daughter’s Daughter”, Taiwan.
Non amiamo un granché gli elenchi, hanno lo stesso sapore sciapo delle indicazioni dei tavoli degli sposi, ma abbiamo pensato che ricordarle tutte rappresentasse una specie di inchino a una nuova generazioni di ragazze indipendenti, quali in realtà sono.
Ce lo conferma Maria Barbieri, consulente del Feff per la Cina continentale.
«Fortunatamente molto è cambiato nella Repubblica Popolare rispetto al Novecento, direi che è un altro mondo se parliamo di donne – il suo commento –. Prima, ovviamente, stavano un passo indietro all’uomo, costrette a sposarsi e a fare figli, anche controvoglia. Il cinema non contemplava direttori femmine e soltanto in casi sporadici spuntavano loro. Ora, invece, le girls decidono l’espressione degli attori e dove piazzare un campo lungo o un piano sequenza. Se vogliamo pure dare un nome a una regista capace di spalancare la porta alle altre, ecco, quel nome è Jia Ling, autrice di “Yolo” e di “Hei Mam”, entrambi casi esplosivi al botteghino cinese».
Se affianchiamo il secolo nostro a quello precedente e analizziamo lo status delle quote rosa, diciamo così, va esaltato il dato dell’alfabetizzazione, la cui curva è schizzata in qualche decennio di emancipazione.
Anzi, le donne studiano ben di più degli uomini, carta canta. Anche nel comparto lavoro l’Oriente si è posizionato nell’assoluta modernità affidando non solo ai maschi ruoli decisivi in politica, tecnologica e scienze.
Nella crescita economica è rilevante l’apporto femminile in Corea del Sud e a Singapore.
Sfogliando il grande libro della legge nel capitolo diritti civili, emerge un gran sfoggio di norme studiate apposta per le signore contro la violenza domestica, le discriminazioni lavorative e il matrimonio forzato.
Non tutto è improvvisamente splendido splendente dappertutto. Magari.
La violenza di genere è ancora piuttosto diffusa in India e in Pakistan, come la preferenza per i figli maschi guida i desiderata in Vietnam e in Cina.
In Giappone esiste il “soffitto dei cristallo”, ovvero poche donne ai vertici, mentre in India (certo, siamo ai limiti della zona Far East, ma vale la pena lanciare uno sguardo globale) si è rivelato il boom di imprenditrici, sì, e pure di crimini di genere. Nelle campagne resiste la tradizione, mentre in città l’aria è quella del terzo Millennio. L’unificazione non sarà immediata.
Barbieri ricorda una pellicola appena passata sul grande schermo del Giovanni da Udine, “Like e Rolling Stone”, di Yin Lichuan, «La storia vera di Su Min (nel film Li Hong), una specie di icona “accidentale” sui social da quando nel 2020 lasciò il marito taccagno e aggressivo, il fratello ingrato e persino un padre autoritario per un viaggio solitario e catartico attraverso la Cina, ben quattrocento le città visitate, simbolo di una nuova libertà. E come nel film di Paola Cortellesi, Li Hong si convince che «c’è ancora un domani».
A proposto della pellicola italiana, il dramma in bianco e nero della regista romana è stato a sua volta un gran successo ai piedi della Grande Muraglia con ben sei milioni di dollari d’incasso dopo quattro settimane di programmazione. Così, per dire.
L’altro caso eclatante è “Her Story” di Shao Yihui, come dicevamo, in programma stasera alle 19.30. All’uscita dell’opera la critica la marchiò con la definizione: «È la versione cinese di Barbie».
Wang Tiemei, una giornalista di successo, dopo il divorzio prende una decisione forte: no alla carriera e sì al mestiere di mamma. Lei è una donna pragmatica e moderna che oltrepassa i muri se la difficoltà è invalicabile.
«In Asia — conclude Maria Barbieri — s’alza sempre più un coro affollato di voci suadenti, ma determinate a cambiare la Storia. E siamo solo al prologo».
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