«Le colpe e i dannati di un’Italia incapace di guardare avanti»

PORDENONE. «Ogni italiano è Dante, perché rappresenta quello che siamo noi, esiliati ormai dal nostro Paese, incapaci di essere italiani. E fino a quando qui funzionerà tutto come il tifo dello stadio, dove la colpa è sempre degli altri, fino a quando non riusciremo insomma a guardare avanti, non capiremo come uscirne».
È l’Italia raccontata da Tommaso Cerno nel poema in terzine Inferno. La commedia del potere, presentato ieri al Palaprovincia, in un incontro moderato dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier. Un libro insolito, che esce dagli standard, con il quale l’autore (giornalista dell’Espresso e opinionista televisivo) intende raccontare la politica in maniera diversa, decisamente fuori degli schemi.
Così come lo è stata la presentazione, seguita da un numeroso pubblico. Incalzato dalle domande del direttore Monestier, Tommaso Cerno si è infatti sbizzarrito con i ritratti dei vari personaggi che ha inserito nel libro: un racconto che trae origine dalla Divina Commedia e che racconta la commedia che viviamo, purtroppo, in questi nostri tristi giorni. Con tanto di gironi (ben nove) e di un moderno – si fa per dire – Caronte (Andreotti), dove l’inferno è sotto Montecitorio, è pieno di acqua e ci si arriva in ascensore.
Tommaso Cerno, dantescamente, ci accompagna in questa Italia da naufragio, alla Schettino (e non a caso tra i vari personaggi dei gironi c’è pure lui, un capitano borioso e codardo, che porta la sua imbarcazione contro l’unico “scoglietto” dell’intero specchio d’acqua). «Mi sono trovato più vicino a Dante non per la forma e l’estetica, ma perché ho cercato di rispecchiare la situazione di allora, ascoltando i miei “dannati”, i politici italiani» ha raccontato Cerno. «Dante fu esiliato, cacciato di casa, allontanato dal governo guelfo e mandato lontano. E da dove si trovava cercò di raccontare la sua Firenze, a modo suo».
Una galleria di personaggi inconsciamente grotteschi, dunque, che sembrano usciti da un film. Da Napolitano «che ha detto che dovevamo metterci tutti d’accordo e ora stiamo peggio di prima» e che «in tempi di spending review ha nominato quattro senatori a vita, e poi ha preso un giovane, un tale Amato...», a Scajola, «che fa una conferenza stampa non per dimettersi per le vicende dell’Aquila e di casa sua, ma per spiegare che bisogna trovare il bandito che ha pagato 900 mila euro al posto suo». Senza dimenticare il signor B., si proprio lui, che viene collocato nel girone più basso e rappresentato nudo, a governare il paese: «È il sovrano d’Italia, ha fatto 37 leggi ad personam e due contra personam, quella sulla prostituzione femminile (e con Ruby ci ha rimesso...) e la Severino (bloccando la sua grazia)».
Ma l’Inferno di Cerno è anche un libro che contiene profezie: è stato scritto prima del tentativo, naufragato pure lui, di recuperare Prodi. «C’è pure il fallimento di Bersani, ma questo non conta, era facilmente prevedibile...».
E ora, dopo l’Inferno? Per il Purgatorio bisogna aspettare un’Italia che capisca la verità e la strada da intraprendere, dopo aver scontato la sua pena. Mentre il Paradiso è quello degli angeli, come il bimbo di Vermicino o Eluana Englaro, «che nel suo buio di 17 anni ha visto forse meglio di noi questa Italia». Un’altra Italia, decisamente. Insomma, non ci siamo ancora: il Paradiso può attendere.
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