Le foibe, la pulizia etnica e l’esodo: storia degli italiani nell’ex Jugoslavia

La riflessione del professor Raoul Pupo sul dramma che spinse ad abbandonare quelle terre
Documentazione Foibe fornita dalla Lega nazionale. Primo Levi per l'analisi del testo, le foibe per il tema storico, il ruolo dei giovani nella politica, ma anche la musica, la ricerca della felicità e l'inquietante interrogativo "Siamo soli?", insomma quello che per semplicità tra i maturandi viene definito 'il tema sugli Ufo'. Sono questi gli argomenti proposti ai candidati nella prima prova della Maturità che coinvolge quest'anno 500.694 studenti. ANSA/IAN
Documentazione Foibe fornita dalla Lega nazionale. Primo Levi per l'analisi del testo, le foibe per il tema storico, il ruolo dei giovani nella politica, ma anche la musica, la ricerca della felicità e l'inquietante interrogativo "Siamo soli?", insomma quello che per semplicità tra i maturandi viene definito 'il tema sugli Ufo'. Sono questi gli argomenti proposti ai candidati nella prima prova della Maturità che coinvolge quest'anno 500.694 studenti. ANSA/IAN

Foibe ed esodo furono il risultato di una pulizia etnica? Oggi, accettando previamente una definizione di “pulizia etnica” come «programma di eliminazione delle minoranze, realizzato attraverso il loro allontanamento coatto o ricorrendo ad atti di aggressione militare e di violenza, per salvaguardare l’identità e la purezza di un gruppo etnico», proponiamo un’intervista del professor Raoul Pupo, docente dell’Università degli studi di Trieste, vincitore, fra l’altro, del Premio Friuli Storia 2019 con il libro “Fiume città di passione”.

Qual è la sua posizione circa l’espressione “pulizia etnica” applicata ai fenomeni delle foibe e dell’esodo?

«È una formula sbagliata e riduttiva. Conviene usare espressioni prive dell’equivoco aggettivo “etnico”; ad esempio “semplificazione nazionale”, “sradicamento nazionale” eccetera».

Perché considera equivoco l’aggettivo etnico?

«Nella lingua italiana, per etnia s’intende una comunità immaginata in base a criteri naturalistici quali ereditarietà e radicamento territoriale, secondo la definizione di nazione elaborata dalla cultura politica tedesca in opposizione a quella su base volontarista, elaborata dalla cultura politica francese in età rivoluzionaria. Nell’area alto-adriatica i patrioti italiani si riferivano non all’idea di nazione alla tedesca, assunta dalle culture politiche degli slavi del sud, bensì a quella alla francese».

Per quale ragione?

«L’italianità adriatica aveva solo in parte origini etniche, perché per un’altra e robusta parte era frutto di processi secolari di integrazione di apporti diversi per etnia, provenienti sia dall’entroterra centro-europeo che dal bacino del Mediterraneo. In tutta l’area costiera giuliano-dalmata le città erano considerate “fabbriche di italiani”, mentre nei centri emporiali (Trieste e Fiume) l’italianità si sviluppò in certa misura a partire da un precedente strato cosmopolita che era il nerbo della classe dirigente di lingua italiana».

Dunque ritiene che parlare della scomparsa del gruppo nazionale italiano dall’Istria e dalla Dalmazia come “pulizia etnica” significhi escludere una buona fetta di connazionali costretti all’esodo?

«Sì, perché se l’esodo fosse stato “soltanto” una pulizia etnica, oggi gli italiani residenti in Istria sarebbero 100 mila. Inoltre occorre sottolineare che foibe (violenze politiche di massa) ed esodo (spostamento forzato di popolazione) sono fenomeni radicalmente diversi; perciò vanno distinti sotto il profilo analitico e poi, per ciascuno dei due, vanno considerati sia gli obiettivi che gli effetti delle azioni intraprese dalle autorità jugoslava».

Può sintetizzare gli obiettivi delle foibe?

«Conosciamo gli ordini - e quindi i criteri - degli organi dello stato jugoslavo per colpire non sulla base della nazionalità ma del fascismo, cioè su base politica e non nazionale. Ovviamente, il termine fascista aveva un significato assai largo, finendo per coincidere con chiunque rappresentasse il potere italiano (nella politica, nelle istituzioni e nella società), ma senza connotazioni etniche. Arresti e stragi miravano a distruggere i “nemici del popolo”».

Ovvero chi?

«Nell’espressione, assai elastica, potevano rientrare anche gruppi antifascisti non comunisti, ma senza connotazioni nazionali. Del resto, le stragi della Venezia Giulia nel corso del 1945 furono semplicemente la coda più occidentale dell’enorme ondata di violenza politica che travolse tutti i territori jugoslavi appena liberati dai tedeschi e nei quali assunse il potere il movimento di liberazione a guida comunista. Ovviamente, nelle zone che erano abitate da italiani le vittime furono quasi del tutto (ma non tutte) italiane, perché fascisti erano stati gli italiani, perché il potere da abbattere era quello italiano e perché gli oppositori, reali o presunti, all’annessione alla Jugoslavia e all’instaurazione del comunismo erano italiani».

Dunque a suo parere l’espressione «colpiti solo perché italiani» è vera o falsa?

«È falsa se per “italiani” intendiamo i cittadini di nazionalità italiana, perché gli ordini dicevano esattamente il contrario; ma è vera se per “italiani” intendiamo coloro che “volevano l’Italia” a prescindere dalla loro origine etnica e appartenenza nazionale, perché questa era considerata colpa gravissima».

L’applicazione degli ordini rispettò tali distinzioni?

«Non sempre. Nell’autunno istriano del 1943 alla repressione dall’alto - vera violenza di Stato - si sovrappose uno scatenamento dal basso di passioni nazionali e rancori sociali, con forme di criminalità comune (compresi stupri di gruppo) ammantata di veste politica. Sia nel ’43 che nel ’45 si ritorse a danno degli italiani anche l’equivalenza fra Italia e fascismo inculcata dal regime nel ventennio e fatta propria dai quadri partigiani».

E quali indica come conseguenze?

«Nel 1945 il governo jugoslavo non aveva formulato una strategia per spingere la popolazione italiana ad abbandonare il territorio. Le violenze di massa avevano finalità circoscritte: punizione, epurazione, intimidazione per evitare opposizione. È in seguito che avvenne l’esodo, cioè l’allontanamento, soltanto apparentemente spontaneo, di un gruppo nazionale autoctono dalle sue sedi di insediamento storico, a seguito delle radicali trasformazioni - istituzionali, economiche, nazionali, sociali e culturali - indotte sul territorio dalle politiche del regime comunista jugoslavo, che crearono una situazione di generale invivibilità».
 

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