Lebbra e peste nera: così nel Medioevo l’Europa si difese con la quarantena

Come per tante innovazioni fondamentali nella storia dell’umanità anche della quarantena non si conosce la paternità. La soluzione di mettere in isolamento le persone ammalate è probabilmente vecchia quanto l’uomo e le sue malattie: dai tempi più antichi i malati di lebbra, ad esempio, venivano accuratamente emarginati dalla vita comunitaria per il pericolo di contagio.
Il termine stesso di “quarantena”, che sta però piuttosto ad indicare l’isolamento preventivo delle persone sospettate di poter essere ammalate, forse deriva dai quaranta giorni di digiuno di Gesù nel deserto, lasciando dunque intuire una storia di questa pratica ben più lunga di quello che sappiamo.
Le prime attestazioni moderne della quarantena risalgono al Medioevo, alla Peste Nera (1347-1350) che decimò il continente con tassi di mortalità che in alcune regioni toccarono il 50% della popolazione. Secondo alcuni storici fu Venezia la prima a introdurre tale presidio ma il primo caso realmente documentato è quello di Dubrovnik (Ragusa) del 1377.
Non vi sono invece discussioni sul fatto che sia stata la Serenissima a creare il primo lazzaretto: a partire dal 1423, per disposizione del Senato, i malati di peste furono internati nell’isola di Santa Maria di Nazareth, nella laguna, presto chiamata “Lazzaretto vecchio” per distinguerlo da quello “nuovo”, nei pressi del porto del Lido, con compiti invece di quarantena.
Controlli alle frontiere, cordoni sanitari, bandi, quarantene e lazzaretti erano strumenti che gli Stati d’antico regime mettevano in campo senza naturalmente conoscere l’eziologia della peste, che sarebbe rimasta sconosciuta fino alla fine dell’Ottocento: né i monatti dei Promessi Sposi durante la peste del 1628-30, né lo stesso Manzoni due secoli dopo sapevano infatti che la peste è causata da un bacillo il cui vettore sono le pulci dei ratti.
Si pensava piuttosto che si trasmettesse per via aerea, come l’attuale influenza, ma in ogni caso impedire l’entrata di una nave, di un carro o di una carrozza proveniente da una regione infetta limitava la diffusione della malattia.
Col tempo gli Stati, soprattutto quelli della Penisola, che erano molti e meta già dal Cinquecento di un elevato numero di visitatori stranieri impegnati nel Grand Tour, perfezionarono la prassi della quarantena. Per controllare la provenienza degli stranieri, ed eventualmente impedirne l’entrata, si diffuse l’uso del “bollettino” o “fede di sanità”.
Era questo un documento che bisognava esibire alle frontiere e che certificava che la città di partenza del viaggiatore era «libera da ogni sospetto di mal contagioso». Almeno così recitava nel Seicento il bollettino dei Provveditori alla Sanità veneziani, un modulo già prestampato e da compilarsi con data, nome e nazionalità del latore.
Una volta istituiti tali presidii era però doveroso farli rispettare rigorosamente e qui nascevano i problemi. In una società in cui l’autorità dello Stato era ancora precaria, quest’ultima faticava ad imporsi, se non con metodi drastici. Durante l’epidemia di peste di Cividale del 1598 il provveditore Alvise Marcello fece chiudere le porte della città impedendo a chiunque di uscire, confinando nel lazzaretto gli appestati o coloro che avevano convissuto con ammalati.
Una giovane donna rimasta vedova, Francesca, scoperta fuori dal lazzaretto dove espletava la quarantena venne immediatamente giustiziata e due fratelli falegnami che riuscirono a uscire dalla città e vennero sorpresi a Gemona furono impiccati, uno fuori della porta di San Pietro di Cividale, l’altro alla porta Gemona di Udine. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la quarantena si risolveva in una semplice seccatura. Nel febbraio del 1716 il principe bavarese Karl Albrecht si mise in viaggio per la “calamita d’Europa”, Venezia con il suo Carnevale e le sue promesse di divertimenti e trasgressioni.
Venne però fermato a Verona, per il sospetto di peste: assieme al suo seguito di 60 persone gli fu, tuttavia, concesso di passare la quarantena in un palazzo e non nel lazzaretto. Solo agli inizi di febbraio poté finalmente giungere nella capitale tra le lagune, dove fece in tempo ad assistere a non meno di 16 spettacoli teatrali.
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