L’odissea di Checco Zalone innamorato del posto fisso
di Gian Paolo Polesini
L’ombra lunga del ragionier Ugo, l’icona nazional popolare del posto fisso anni Settanta, sporca il riverbero politicamente corretto 2.0 del quarto Zalone, seppure nella sua solita anarchia comica (attenuata, infatti sorridi non ti sganasci) più socialmente compìto. Checco sta sul pezzo e l’abolizione delle Province diventa oro per la sua sceneggiatura complessa. O meglio, di comprensione immediata, ci mancherebbe, ma a forma di mappazzone, per dirla alla Barbieri. Le peripezie del signor Zalone, impiegato nel settore Caccia e pesca, ricordano vagamente, quelle di Walter Mitty, che col sogno stringe in mano il mondo. Il nostro, invece, è vittima dei tagli ministeriali e rifiutando lo scivolo offerto, sempre più gonfio per levarselo dai piedi, girovaga per le scrivanie come il tiramisù andato a male nello stomaco della vittima. Lui sa cavarsela, però, e in ogni maledizione lanciata da chi lo vorrebbe morto, trova l’eden.
Lo sappiamo, conoscendo Luca Medici. Il suo umorismo, sebbene possa sembrare soltanto un groviglio di gag, contiene sostanza contemporanea. I gay in Cado dalle nubi, il pericolo Islam in Che bella giornata, rapporti padri-figli in Sole a catinelle. Oltre all’Odissea statale, una lezione a un’Italia incivile il buon Zalone la impartisce, dall’alto di quel Nord Europa norvegese ancora immacolato e ligio al buon senso. Una delle tante stazioni utili alla metamorfosi dell’uomo.
Avrete colto, ce lo auguriamo, la sostanza organica del film, piuttosto concentrata alla denuncia light con siparietti sparsi, alcuni deliziosi, altri meno. Pieraccioni cadde dopo il tris miliardario (I laureati, Il ciclone, Fuochi d’artificio), Aldo Giovanni e Giacomo s’inciamparono, pure loro, sul numero quattro: la Leggenda di Al, John e Jack.
Medici salva capra e cavoli con la sua fisicità sghemba e con quel fare da idiota, che poi idiota non lo è mai. La rivincita dello sfigato, potremmo dire. Ha dalla sua l’orda di popolo in adorante sguardo e dimmi poco. Se hai il placet del datore di lavoro (il pubblico lo è per l’artista), dormi sereno.
Non è tempo di guardare Bergman, adesso, la necessità è sgranchirsi la mente. E Checco è un ottimo trainer. Poi, dai, i miracoli riuscirono a uno solo.
Centrale, The Space Cinema, Città Fiera, Lignano Cinecity, Pasolini di Cervignano, Manzoni di Maniago, Fiume Veneto, Kinemax Gorizia e Monfalcone, Villesse
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto