L’udinese Federica Magro: «Saper anticipare i gusti dei lettori è la sfida che i libri devono vincere»
La nuova direttrice editoriale alla Rizzoli: «Bisogna coniugare qualità e mercato»

Da venerdì 1 settembre l’udinese Federica Magro è la direttrice editoriale di Rizzoli. Un incarico che arriva dopo una laurea in Lettere alla Statale di Milano, un dottorato alla Sapienza di Roma in Filologia romanza, un’attività come traduttrice e lettrice per case editrici, agenzie letterarie e testate giornalistiche, e dopo una militanza decennale nel campo dell’editoria, nel quale Federica Magro è approdata nel 2001 quando era entrata a far parte del gruppo Mondadori, prima al Digital e poi agli Oscar Mondadori, poi dal 2012 il passaggio nel gruppo Rcs come responsabile editoriale della Bur e infine di nuovo nel Gruppo Mondadori con l’acquisizione da parte di questo della Rizzoli Libri.
A Federica Magro abbiamo chiesto prima di tutto cosa comporta il lavoro di un direttore editoriale.
«Il mestiere del direttore editoriale di una casa editrice è simile a quello del direttore di un giornale – spiega Magro –, quello cioè di cercare di indirizzare la barca guardando l’orizzonte, tenendo d’occhio il meteo e uniti i legni della barca.
Soltanto che la nave dei libri si muove molto più lentamente di quanto facciano i giornali, i cui articoli non lasciano traccia se non in chi li ha letti, mentre noi dobbiamo pubblicare qualche cosa che sia in grado di durare nel tempo».
Come ci si muove nella scelta dei libri da pubblicare e come si concilia lo sguardo al botteghino con la ricerca della qualità?
«Botteghino e qualità: messa così sembra una scelta tra il bene e il male. È una dicotomia che non dovrebbe esistere, anche se qui si tocca il perno del mestiere dell’editore che è proprio quello di riuscire a coniugare il botteghino, cioè le vendite e la classifica con la qualità. Io provo a orientarmi in questo mare con due criteri.
Uno è che l’editore soprattutto generalista come è Rizzoli non debba cercare i libri che piacciono a lui o quelli che confermano le sue tesi, ma deve fiutare l’aria e pubblicare il meglio di quello che il tuo tempo produce.
L’altro criterio che bilancia un po’ questo è che l’editore ha in parte il compito di seguire e andare incontro ai gusti del lettore ma in parte anche di anticiparli. Questi sono i due assi cartesiani che mi sono data per orientarmi in questo mare pieno di libri ma con un numero relativamente contenuto, rispetto ad altri Paesi, di lettori».
Ecco, allora come si può contenere questo gap?
«Questo è un altro punto centrale. Faccio un passo indietro per spiegarmi: in questi anni è cambiato molto il mondo dei libri per diversi fattori ma soprattutto sotto l’impulso dei cambiamenti nei canali di vendita.
La nascita e il successo del canale online ha polverizzato il mercato: una volta si vendevano molte copie di pochi titoli che restavano a lungo sugli scaffali. Ora si vendono e si leggono complessivamente lo stesso numero di copie, ma distribuito su tanti più titoli (in Italia si pubblicano circa 70 mila novità all’anno, sic) che l’e-commerce rende potenzialmente disponibili sempre e ovunque e il libraio “fisico” fa ruotare vorticosamente sui suoi scaffali. Morale: il lettore a volte è disorientato da tanta offerta e l’editore ne è impoverito.
Dovremmo tutti ridurre il numero delle novità, ma chi comincia? Questo è un problema che riguarda ovviamente sia i grandi che i piccoli editori».
Ma che significa lavorare all’interno di un grande gruppo editoriale?
«All’estero prima e poi in Italia l’accorpamento di più case editrici in grandi gruppi editoriali è stata la risposta naturale per mantenere vive case editrici che altrimenti avrebbero fatto fatica economicamente, per i motivi di cui sopra e nuovi altri (vedi per esempio post pandemia il forte aumento del costo della carta).
Perciò trovo curioso che in Italia e soltanto da noi si sono fatte spesso polemiche sui grandi gruppi editoriali come sinonimi di poca indipendenza o qualità. La mia esperienza è molto diversa: in un mercato così complesso il gruppo editoriale è quello che può investire di più e anche rischiare di più nello scouting degli autori. E anche i rapporti con la proprietà, sono inevitabilmente più laschi e dunque più indipendenti».
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
«La Rizzoli pubblica libri in ogni ambito editoriale - dalla narrativa alla saggistica, dai classici alle graphic novel - e appunto in tutti questi anni non abbiamo avuto timore di dar spazio alle idee e al sentire di mondi, fedi e orientamenti politici differenti.
Pensiamo di poter incontrare nuove lettrici e nuovi lettori solo mantenendo uno sguardo libero sulla complessità e sulle contraddizioni del presente. Ecco l’ambizione che ho: tenere la Rizzoli al centro del dibattito, offrendo ai lettori gli strumenti e le storie per leggere la contemporaneità».
Quale è il rapporto di Federica Magro con la terra d’origine, con il Friuli.
«Ho scoperto il Friuli meglio da quando me ne sono allontana, nello sguardo degli altri: mi è capitato spesso per esempio nei colloqui di lavoro che l’interlocutore che avevo davanti fosse più interessato alla mia friulanità, letto come sinonimo di serietà laboriosità onestà, ma anche di un “non prendersi troppo sul serio” , che al mio curriculum, agli studi che avevo fatto o alle lingue che conosco. Per cui questo e non soltanto per questo il Friuli me lo sono portato dentro e dietro».
Lei è anche madre di due ragazze. Come è stato conciliare queste due dimensioni in un ambito lavorativo molto impegnativo e, presumo, anche particolarmente competitivo?
«È stato bello nel senso che se ho imparato qualcosa sull’importanza di lavorare bene in squadra lo devo alle mie figlie e a mio marito che da soli, senza i nonni e con asili costosissimi o peggio senza posti disponibili, abbiamo dovuto organizzarci molto e fare un super lavoro di squadra in cui ognuno aveva un ruolo, faceva un pezzo.
Non mi stupisce che spesso mi sono trovata al lavoro in tavoli in cui, se non ero l’unica donna, certamente ero l’unica madre. E questo della maternità e lavoro è certamente un tema centrale nella nostra società.
Rispetto a vent’anni fa le cose sono molto cambiate, le aziende stanno fornendo strumenti per la conciliazione tra lavoro e famiglia ma servirebbe che le istituzioni investissero molto di più su questo piano, è evidente, ed è risibile continuare a interrogarsi sulle principali cause della denatalità.
Ho appena pubblicato un libro dell’economista Azzurra Rinaldi dal titolo “Le signore non parlano di soldi” che offre una impietosa fotografia di quello che si chiama il welfare mediterraneo, in cui le famiglie, ma soprattutto le donne, si fanno carico di una serie di situazioni in cui lo Stato è carente, dalla cura dei figli, dei fragili e degli anziani».
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