Lungo l’Isonzo, “fiume sacro” e poi sulle alture del Carso tra gallerie, trincee e cannoni che ricordano tante battaglie

Decima tappa della camminata dalla montagna friulana al mare. I cippi della Grande guerra. E a Monfalcone il leone alato di Venezia

Siamo un po’ folli a camminare con questo caldo. Il Carso è torrido. Procedo fra cespugli di scotano e me li immagino rossi, nel pieno dell’autunno. È questo un cammino da mezze stagioni. Perfetto in tempo di vendemmia, quando la vegetazione si accende delle straordinarie sfumature vermiglie dell’arbusto tipico dei suoli calcarei, il sommacco o scotano, che fungeva pure da tintura, e medicinale, prima dell’avvento della chimica. Quante cose cambiano, mentre la natura continua a a rigenerarsi, a germogliare immutata! È una certezza che rassicura, di fronte alle tante incertezze che la pandemia ci ha instillato. Certo è il nostro cammino, sappiamo dove stiamo andando.



Lasciamo Cormòns e i suoi vini di pace – prodotti dalla “vigna del mondo” creata dalle cento famiglie di vignaioli della celebre Cantina produttori – per incamminarci sui sentieri della Grande Guerra. Lungo le vigne il percorso è lineare. Non è detto che però il verso sia quello in cui siamo diretti. Bisogna adeguarsi al paesaggio, non solo all’orografia: dove l’uomo è intervenuto, ha messo recinti, cancelli, ha chiuso i valichi. Il diritto di passaggio, regolato per legge nei Paesi nordici, qui non è contemplato.



I cammini sono percorsi che si devono fare largo fra le infrastrutture pubbliche e le proprietà private.

Ci avviciniamo all’Isonzo. San Lorenzo, Farra, Gradisca, fortezza veneziana e poi florida città asburgica. Il fiume “sacro ai popoli d’Europa”. Sulla riva sinistra comincia il Carso, arriviamo al monte San Michele con Lucia e Jacob della Repubblica Ceca: sono in cammino da Kraniska Gora a Muggia sull’Alpe Adria Trail. Anche per loro è il decimo giorno. Hanno un bel sorriso e grandi zaini, che appoggiano vicino alle prime trincee che incontriamo.

Fu in questi giorni, fra il 5 e il 9 agosto del 1916, che gli italiani conquistarono queste alture nella Sesta battaglia dell’Isonzo, a un prezzo altissimo: oltre 35 mila fra morti e dispersi, 75 mila feriti. Circa diecimila le perdite ungheresi. Una carneficina, per soli cinque chilometri di avanzata. I morti sono ricordati assieme nel cippo di cima 3, eretto poco dopo la battaglia. Da qui si può controllare Gorizia. Da qui si vede il mare.



“O Gorizia tu sei maledetta” dice la canzone. Più che le storie di eroismo, leggo delle fucilazioni ordinate da Cadorna per coloro che esitavano a gettarsi all’attacco. Leggo del primo attacco chimico, il 29 giugno, che fa duemila vittime. Poi l’anno dopo arriva la rotta di Caporetto e tutto è perduto.

I cippi, i cannoni, le gallerie si raggiungono a piedi, il parco è disseminato di sentieri. Fatica che fa bene, che fa sentire il fardello della Storia. “Siamo in uno dei luoghi più simbolici della Grande Guerra nella nostra regione, attraversarlo a piedi aiuta a capire il perché” dice lo storico Marco Pascoli.

Un cartello segnala il “Valloncello di Cima Quattro” sulla prima linea del fronte. È dove Giuseppe Ungaretti, il 5 agosto 1916 scrive versi celebri: “Come questa pietra / del S. Michele / così fredda / così dura / così prosciugata / così refrattaria / così totalmente /disanimata / Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede / La morte / si sconta / vivendo. E a “San Martino del Carso”, il paese che ora attraversiamo, dedica questi versi il 27 agosto: “Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro / Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto /neppure tanto / Ma nel cuore / nessuna croce manca / È il mio cuore / il paese più straziato. ”



La riserva naturale del lago di Doberdò, un’area selvaggia di acque emergenti dal sottosuolo carsico, ispira pace. Questa è zona di grotte, alcune profondissime.

Domani arriveremo alla foce del Timavo, il fiume sotterraneo, la bocca degli inferi. Altri inferni accaddero cent’anni fa dove siamo diretti.

Monfalcone mostra sulla rocca il leone alato di Venezia. Un angelo con zanne e artigli? “Ogni angelo è tremendo” è un verso di Rilke, che incontreremo domani sul sentiero. Camminiamo in compagnia dei poeti. Ci stiamo avvicinando a Trieste.


 

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