Morte, misteri e un ritratto di donna per il commissario Teresa Battaglia

Unico indizio, un ritratto di donna dipinto da un partigiano. Un appiglio per fare luce su violenze irrisolte, sepolte in un passato pronto a esplodere come una bomba. A cercare di rimettere insieme tutti i pezzi di un puzzle intricato che affiora dalla seconda guerra mondiale e irrompe prepotente nel presente è ancora lei, Teresa Battaglia. Il commissario di polizia esperto in profiling, frutto della fantasia di Ilaria Tuti, che in “Ninfa dormiente” (Longanesi) indaga a un “cold case”. Una ricerca della verità che abbraccia il Friuli, ma si spinge soprattutto nella natura strepitosa della misteriosa e antica Val Resia.
Il secondo romanzo della scrittrice di Gemona – dopo “Fiori sopra l’inferno” (2018), un caso editoriale con 90 mila copie vendute, pubblicato in 25 paesi stranieri e con i diritti acquistati da Publispei per realizzare una serie tv – uscirà nelle librerie il 27 maggio. Domani, domenica 26, alle 18, sarà invece presentato in anteprima nazionale a Gemona (palazzo Elti, via Bini 9), dove l’autrice dialogherà con il direttore editoriale di Longanesi Giuseppe Strazzeri, moderati dal vicedirettore del Messaggero Veneto Paolo Mosanghini. E martedì 28, alle 18, Tuti sarà alla libreria Friuli di Udine.
Teresa Battaglia è tornata. Empatica e risoluta più che mai, è pronta a investigare su un nuovo inquietante caso. Ilaria, quali sono gli ingredienti di “Ninfa dormiente”?
«Nel primo romanzo il commissario si è trovata ad affrontare un assassino seriale dalla mente particolare, difficile da inquadrare. Stavolta è diverso, ha a che fare con un “cold case”. Un omicidio di donna, anche se il corpo non si trova, che risale alle fine della seconda guerra mondiale. Unico indizio è un ritratto fatto da un partigiano proprio in quei giorni, prima che impazzisse, e riaffiorato da una vecchia soffitta. Teresa, in profonda discussione con se stessa, si sente rincuorata dal fatto che non sia un delitto recente. Catturata dagli eventi e da un nuovo pericolo nel presente, non ha più tempo di pensare a sé. E poi si deve prendere cura dell’ispettore Massimo Marini, entrato da poco nella squadra e che deve fare i conti con i suoi nodi del passato».
Spigolosa, malata, non più nel fiore degli anni. Teresa è una protagonista atipica, lontana dagli stereotipi proposti da serie tv e narrativa, che la vorrebbero bella e sensuale… Eppure a lei ci si affeziona. Qual è la sua forza?
«Teresa Battaglia fin da subito appare come un personaggio sbagliato, perché inizia con una serie di “non”: non è bella, non è giovane, non è sana e non ha un buon carattere. Però risulta vincente grazie al suo impegno, all’esperienza, alla capacità di guidare gli altri: è questa la sua grande bellezza. È una donna sola di quasi 60 anni, che deve fare l’insulina ogni giorno e con un passato di violenza domestica. Cerca di scendere a patti con l’Alzheimer, non censura più la malattia, che vuole celare agli altri per pudore. Alla fine ti affezioni perché è una dura e pura, ama il suo lavoro ed è compassionevole. Ha la capacità di percepire il dolore degli altri e sente il bisogno di alleviarlo».
A quale tipo di donna si è ispirata per Teresa?
«Sicuramente alle donne della mia famiglia e a quelle che incontro ogni giorno. Da lettrice cercavo una persona normale, che mostrasse cosa significa essere una donna oggi e conquistarsi un’indipendenza. La volevo anche libera dai canoni fisici in cui le donne si sentono intrappolate. Mi hanno ispirato anche grandi figure femminili come la fotografa Letizia Battaglia e Margherita Hack».
Anche il secondo romanzo è ambientato in Friuli. Che rapporto ha con questa terra?
«Di sfuggita la storia tocca Udine e si allarga fino a Cividale e Trieste, ma parla soprattutto della Val Resia: una scelta d’amore nei confronti dei luoghi che visitavo da bambina con mio padre. Se in “Fiori”, per scelta editoriale, è stato deciso di non attribuire nomi precisi a posti comunque riconoscibili per non urtare la sensibilità dei residenti, in questo caso avrei tradito il racconto se ne avessi utilizzati di fantasia. La Val Resia ha una storia millenaria alle spalle, mi ci sono avvicinata per la particolarità culturale. Non sapevo nulla dell’origine della lingua, ho preso contatti con la “memoria storica” della valle, che mi ha fornito particolari interessanti. Il tutto cinque anni fa, era una storia che mi portavo nel cuore e ho atteso il momento giusto per raccontarla».
Quanto studio c’è stato prima di redigere “Ninfa”?
«Non si tratta infatti solo dello scrivere, servono ore di documentazione. Il pubblico è preparato, grazie a programmi divulgativi, inchieste e serie tv. Non potevo improvvisare. Nel romanzo si parla di tecniche di investigazione particolari e mi sono affidata a una donna che lavora con il suo cane, una Human remains detection (Hrd), specializzata nella ricerca di resti umani: non fa parte delle forze di polizia, ma collabora con loro a livello europeo. I carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale (Tpc) di Udine mi hanno invece raccontato del loro database a disposizione delle polizie di tutto il mondo per ritrovare le opere smarrite. E nel romanzo si parla di un dipinto di cui erano sparite le tracce».
“Fiori” si è rivelato fin da subito un grandissimo successo editoriale. Che responsabilità sente di avere, ora, con i lettori?
«Non nego che la mia vita è stata rivoluzionata, con ritmi sconvolti e anche paure. Dopo la pubblicazione di “Fiori” c’è stato l’assalto mediatico dei social: non c’è più distanza tra pubblico e autore e io ci tengo a rispondere a tutti anche se porta via tempo ed energia. Sono cambiata come persona, mi sono messa in gioco a 40 anni. Prima ero molto riservata e timida, ora mi ritrovo a parlare davanti a una platea. Con “Ninfa” ho avuto paura non della mancanza di idee, ma di non fare bene. Ho responsabilità verso chi ha creduto in me: la casa editrice e i lettori. Con il primo romanzo fai promesse, con il secondo le devi mantenere».
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