Müller: «Faccio conoscere l’Italia al Festival di Macao»

Il direttore di Venezia e Roma non manca mai al Far East Film Festival: «Udine è il ponte fra Occidente e Oriente»

UDINE. Se l’uomo che  s’inventò il cinema d’Oriente in Europa - Marco Müller invertì la tratta dell’altro Marco, Polo - al Far East non manca praticamente mai, un suo bel perché esiste.

Conosciamo la red passion del direttore (guidò, fra i tanti, i festival di Venezia e di Roma) per il multicolor d’Oriente. E questo riguarda il cuore, che poi necessariamente affianca altri sentimenti più freddi, diciamo di un’appartenenza legata al comparto cinematografico/industriale, e il ben noto cerchio chiude il giro.

«La crescita del Feff è evidente - spiega - l’Asia ha colto le opportunità del festival con la complicità dell’Occidente, trasformando Udine in una specie di ponte fra continenti, l’unica piattaforma di una certa consistenza per trattare l’osmosi filmica Ovest-Estremo Est».

La cronaca quotidiana - il Gelso d’oro al leggendario Sammo Hung - ci spinge indietro agli anni Ottanta, quando Müller, al Festival di Pesaro, propose una pellicola dell’artista hongkonghese. «Non la presero bene, qualche giornale mi attaccò pure. Non era il momento, posso comprendere, ma sentivo che si poteva iniziare a importare».

Al Lido e sulla Croisette, gli anni successivi all’intrusione, Zhang Yimou e Kim Ki-duk, due sontuosi nomi che s’imposero fra i tanti, dimostrarono ai maestri del vecchio continente la potenza delle loro immagini e quella specie di embargo finì.

Ora Müller, cittadino svizzero da una ventina d’anni (e del mondo, bisogna aggiungerlo), guiderà il Festival di Macao, una prima edizione che scatterà a dicembre.

«Terra ricca di sapori storici, ex colonia portoghese e cinese dal 1987, racchiude infinite opportunità». Immaginiamo una via della seta inversa, a questo punto. Ovvero l’invio del prodotto nostrano laddove non è ancora abitudine vederlo.

«Ho inserito una sezione/retrospettiva governata da un pool di cineasti che hanno la facoltà di scegliere le eccellenze d’Europa. E anche il cinema italiano ben figurerà, in un periodo piuttosto generoso per il film di genere. Non dimentichiamoci delle pionieristiche esportazioni orientali degli italianissimi Maciste ed Ercole. Prove di forza utili a favorire la divulgazione del Kung Fu. E adesso, restando in una felice zona post David di Donatello, il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot è un segnale esplicito di un’influenza opposta e reciproca. Non è forse il titolo un chiaro omaggio al Giappone?».

Scivoliamo, per il the end, dentro Focus Asia. Ne parlammo giorni fa, il mercato che offre a buyer e ai sales agent una panoramica sulle ultimissime sfornate di celluloide. È Paolo Vidali, il direttore del Fondo, a incentivare gli entusiasmi: «Nel gergo, questa sarebbe definita una puntata pilota, un passo deciso nella crescita del settore produzioni in Friuli Venezia Giulia».

La corrispondenza fra «il format del Feff e il nuovo approccio di Mia alle esigenze di internazionalizzazione dell’intero sistema», l’ha individuata Francesca Cima della Indigo Film e presidente dell’Anica. Spiace per Messina, ma questo ponte pare più fattibile. nimén hao.

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