Ottant’anni dall’eccidio di Porzûs: i dubbi rimangono tanti, le certezze poche
I processi hanno determinato di fatto i nomi di esecutori e mandanti, via via condannati
e amnistiati. Ma la ricerca di una verità documentata e inoppugnabile è ancora in corso

Molte sono le pubblicazioni che si sono occupate dell’eccidio di Porzûs e che nel corso degli ottanta anni, che sono trascorsi dal 7 febbraio 1945, giorno in cui ha avuto inizio il drammatico evento, ne hanno ricostruito l’intera vicenda. Saggi storici che lo hanno analizzato in modo minuzioso sia per quanto riguarda le diverse fasi della vicenda in sé, che quelle processuali, come altrettanto numerose sono le polemiche e i veri e propri scontri politici che ha suscitato dai giorni successivi alla Liberazione del Friuli, cocenti allora, fino ai nostri giorni ormai fortemente attenuate dalle numerose mezze verità che in qualche modo sono venute alla luce.
I processi hanno determinato di fatto nomi e cognomi di esecutori materiali e di mandanti che sono stati via via condannati e amnistiati. D'altronde quello dell’amnistia politica e dei condoni è un male nazionale, si pensi “all’amnistia Togliatti” che già il 22 giugno del 1946, pochi giorni dopo la nascita della Repubblica italiana fu varata dall’allora ministro della giustizia Palmiro Togliatti segretario del Pci .
Un provvedimento legislativo che avrebbe dovuto pacificare il Paese, ma che nei fatti liberò ed evitò il processo a migliaia di fascisti di indubbia fede, molti dei quali criminali con alle spalle delitti abominevoli. Così anche sugli esecutori dell’eccidio di malga Porzus un colpo di spugna, infine, cancellò se non le colpe sicuramente il castigo. Infatti nel luglio del 1959 il parlamento italiano approvò a sessioni unite un’amnistia per tutti i reati politici commessi tra il settembre del 1943 e il giugno ’46 e naturalmente ne usufruirono anche i condannati di Porzus .
Anche nei due processi di Lucca e Firenze, pochi i documenti veri, le argomentazioni plausibili e comprovate, molte le pagine di memoriali, gli interrogatori, le interviste agli accusati, ai colpevoli, contraddittorie e prevedibili come le dichiarazioni dei politici dai diversi colori, comunisti e democristiani soprattutto.
Il dibattito serrato sulle colpe conclamate, sulle eventuali motivazioni che hanno portato alla decisione dell’esecrabile operazione contro gli osovani a Porzûs ha una tesi ufficiale che viene riassunta, dopo studio attento della documentazione, nella sintesi che Gianpaolo Gallo, comandante partigiano della Garibaldi in Veneto, collaboratore dalla sua costituzione dell’istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, ma soprattutto storico corretto nell’analisi dei pochi veri documenti consultabili fino agli anni Novanta del Novecento, ha riportato nel suo Libro “La Resistenza in Friuli 1943-1945” e nella videointervista il cui testo viene proposto integralmente e che si può ritrovare nel documentario pubblicato dall’editore Gaspari in Dvd “La liberazione del Friuli 1943-1945, una guerra per la democrazia”:“L’eccidio di Porzûs che a molti sembra l’episodio saliente della Resistenza friulana va inquadrato in quel clima di forte tensione politica che si determina al confine orientale, che è confine tra Italia e Jugoslavia, ma anche confine ideologico tra le democrazie occidentali e il mondo comunista dell’est.
Il fatto è in sostanza questo: il 7 febbraio del ’45 un gruppo di Gap e di garibaldini della pianura sale alle malghe di Porzus accerchia con l’inganno il comando della I brigata Osoppo e uccide subito il comandante e il commissario, una donna che era stata segnalata come spia da Radio Londra e via via altri 14 partigiani osovani. Era un’operazione di polizia per chiarire talune questioni su presunte collusioni o accordi tra osovani e fascisti in funzione antislava e si traduce poi, invece in una strage.
E’ un episodio gravissimo di arbitrio e di fanatismo politico che viene addebitato ai comandanti dei Gap, perché in realtà non esiste nessun ordine di questo genere né del Partito Comunista o del IX Corpus sloveno o degli altri comandi garibaldini che sottragga quel comandante alle sue responsabilità. Però per non demonizzare un solo uomo e per chiarire meglio i fatti, bisogna anche dire che ci sono delle responsabilità indirette, non collegabili col fatto, ma in realtà esistono.
Responsabilità anzitutto dei comandi garibaldini da cui i Gap dipendevano per non aver controllato questi reparti minori e soprattutto indisciplinati come i Gap dell’isontino; responsabilità del partito comunista e in particolare della federazione di Udine per non aver smorzato i toni di contrasto tra Osovani e Garibaldini, tra comunisti e non comunisti e soprattutto per non aver vietato un’operazione di cui la federazione era a conoscenza e affidata ad un uomo poco affidabile.
Responsabilità del IX Corpus d’armata cioè degli sloveni, perché in sostanza sono gli autori principali di questo clima di tensione, perché avanzavano rivendicazioni talvolta ingiustificate, perché volevano avere l’egemonia sul movimento di liberazione della Venezia Giulia e quindi comandare anche i partigiani italiani, perché avevano forzato la grossa brigata Garibaldi Natisone a passare e a combattere in Slovenia.
Esistono responsabilità indirette e mi duole dirlo, perché in sostanza suona come critica purtroppo anche a coloro che sono morti, da parte degli Osovani per aver usato dei toni esasperati anti slavi e anti comunisti che un po’ ricalcavano quei toni usati dal fascismo che aveva imperversato per 20 anni contro le minoranze slovene e contro la Jugoslavia, annettendosi addirittura la provincia di Lubiana.
Vorrei che fosse ben chiaro che la difesa dell’italianità di certi territori qui di confine era molto difficile non solo per gli osovani, ma per tutta la Resistenza italiana; era difficile differenziarsi da quello che era stato il nazionalismo fascista. Perciò per difendere l’italianità di questi territori ci voleva una grossa sensibilità politica, per non offendere i partigiani sloveni e non passare per fascisti. Questa sensibilità politica in alcuni casi non c’è stata da parte osovana, cosicché un gappista di bassa qualità politica ha fatto, e si è sentito giustificato nel fare un’equazione semplicistica e perversa, cioè osovani uguale a fascisti.
E agli occhi suoi a rendere giustificato l’eccidio. Tutte le parti politiche e i partigiani hanno deprecato il gravissimo episodio ed espresso il rammarico per la spaccatura che si determina nell’unità ideale tra i partigiani. Ma va espresso anche rammarico perché nei processi che ci sono stati dopo la guerra per ottenere giustizia alcune parti politiche hanno imbastito una speculazione ingiustificata”.
I dubbi sono tanti, le certezze poche, ma oggi sono molto più chiare le compromissioni, per altro da sempre presenti in molte pubblicazioni, dei comandi della Garibaldi Natisone, del Pci provinciale e del IX Corpus sloveno e quindi degli uomini che li rappresentavano.
Giovedì 5 è stato distribuito nelle librerie udinesi il libro dello storico Tommaso Piffer “Sangue sulla Resistenza” che analizza l’eccidio di Porzus utilizzando, tra l’altro, alcuni nuovi documenti, due molto interessanti, presenti integralmente in appendice al volume: Janco (Juli Beltram) al Comitato Provinciale del Partito Comunista Sloveno per il litorale sloveno del 5 dicembre 1944; III Sezione dell’Ozna del IX Corpus al III Dipartimento dell’Ozna Slovena, Relazione del 6 dicembre 1944. Ma poco di definitivo si aggiunge alle colpe del IX Corpus Sloveno, del Pci di Udine e dei Comandi della Garibaldi Natisone che senz’altro ne ebbero come mandanti, se non un’ulteriore sottolineatura in rosso sangue della generica componente italiana comunista. Tutto prevedibile per gli storici, ma non nei dettagli, che rendono molto interessante il saggio. D'altronde è lo stesso autore che confessa, con grande onestà, ai giornalisti del Corriere della Sera che la sua ricostruzione dell’eccidio di Porzûs non ha la pretesa di essere definitiva e che forse nessuno potrà scriverne una che possa definirsi come tale, mancando ancora un’ulteriore documentazione inoppugnabile. Ma bisogna essere ottimisti: la ricerca è ancora aperta.
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