Paolo Rossi: la comicità ha vita breve
L’attore sul fenomeno in crescita della stand-up: «Una fiammata ma c’è già bisogno di reinventare qualcosa»

L’interprete della stand-up comedy — che poi è un’arte con radici multiple nel vaudeville, nel burlesque e persino nel dadaismo — ti sottopone a una specie di aggressione comica, nulla a che vedere col più vellutato cabaret, nonostante le due categorie discendano da un ceppo comune, ma il gesto di stare davanti a un pubblico senza quarta parete provocando risate, è lo stesso. Il come è differente.
Il trend dei “standappisti” è in decisa salita.
Lo dicono i numeri, lo riportano le statistiche, se ne sono accorti i teatri, i social sparano fuori fenomeni che è un piacere.
«Le proposte del genere accelerano la corsa ai biglietti — conferma il direttore del Miela di Trieste, Massimo Navone — il pubblico è giovane, si va dai venti ai quaranta, considerando che questa generazione solitamente sta ben lontana dalle sale, è quasi un miracolo».
L’evoluzione è naturale. «La comicità ha vita breve, deve sempre rigenerarsi», è Paolo Rossi a sentenziare. «Non è una frase mia, ma rende il senso». D’altronde, da quando i saltimbanchi si preoccupano del nostro benessere? «Possiamo dire con certezza — spiega Rossi — che già nel Quattro/Cinquecento, durante il rito del mercato, gli attori con maschera provocavano i passanti con le loro narrazioni comiche e satiriche, che poi sono i fieri antenati di chi della stand up comedy ne ha fatto oggi un mestiere. Però io, nonostante il rumore provocato dal genere, vedo una parabola discendente. C’è stata una fiammata potente, assolutamente sì, credo ci sia già bisogno di reinventare qualcosa».
Sia Rossi che Navone concordano sulle scie generazionali. Il Derby milanese forgiò personaggi indelebili della scena italiana, quindi arrivò lo Zelig (ma non quello televisivo, eh) e il sistema di conquista del pass per la gloria più meno era lo stesso: dopo il successo nei locali si spalancavano i portoni della Rai, con un conseguente giro inverso: di nuovo live per raccogliere gli applausi e i respiri di un pubblico vero. Una consuetudine rimasta saldamente al suo posto.
«La differenza adesso — dice Navone — sta nella comunicazione social, per sua natura rapidissima, tant’è che ci pensano gli artisti a far confluire la gente a teatro. Va detto che il confine fra i monologhisti e gli standappisti è impercettibile. Chi punta di più sulla solidità del gesto attorale, altri si appoggiano al politicamente scorretto, ciò che mi piace però sottolineare è la libertà d’espressione di tutti e senza filtri».
Woody Allen è uno stand-up, Bob Hope lo era, il più grande del gruppone è stato Lenny Bruce, uno vissuto negli anni Quaranta americani. Che poi ‘sta roba viene dagli States, come tutto, del resto, rapida nel buttarsi sui palcoscenici oltre Oceano per spiegare, nel consueto modo bellicoso, la politica, il sesso, la volgarità e quant’altro sia materia manipolabile.
Lo stand up comedian agisce in piedi, ha un microfono in pugno e si rivolge direttamente agli spettatori. Lo Zelig della tv, così come Lol o Colorado Cafè, predilige il linguaggio morbido e la satira è gentile, C’è — volendo — della raffinatezza, un rispetto necessario per una platea che non s’aspetta altro che questo: ridacchiare sui tic di un’Italia buffa. Un bersaglio deve necessariamente esserci, ma nessuno vuole farsi del male.
«Tempo fa — racconta Paolo Rossi — partecipai a un contest di stand up. In realtà m’invitarono a seguirlo, poi decisi di farne parte fra lo stupore generale. Conoscendo il sistema della scaletta perfetta, vinsi 6-0, 6-0, nonostante mi avvisarono che avrei preso una legnata sul muso se non altro per i giovanissimi seduti in platea abituati a una comicità ben diversa dalla mia».
Fatto sta che abbiamo bisogno di comici capaci di avere i freni rotti mentre scendono da una strada di montagna, ovvero lo sfoggio naturale di quella sincerità mancante soprattutto in tv dove ogni gesto è misurato e pesato affinché non intacchi la lesa maestà.
E chi sono ‘sti idoli della stand up? Dal pioniere Giorgio Montanini a Luca Ravenna, uno che va forte. Per Francesco De Carlo c’è stato il sold out al Miela. E le ladies? Eccome no, ci stanno pure loro. Una la conoscete di certo: Michela Giraud. Un’altra gettonata è Cinzia Spanò (sabato 2 marzo sempre al Miela di Trieste).
Attenzione. C’è un nemico poco appariscente, ma diffusissimo: il meme. E tutte quelle derivazioni pseudo comiche dei Reels. «Ne parlavo proprio con mio figlio ventenne — svela Rossi — discutendo con lui sulla fine della barzelletta, uccisa, appunto, dal meme. Anche se per me è tutt’altro che defunta. Comunque, ci siamo ordinati una pizza e abbiamo guardato Stanlio e Ollio, ridendo come dei pazzi».
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