Pasolini e la Destra: così i giovani missini usarono come slogan le parole del poeta

Piaceva l’intellettuale che si ribellava all’egemonia culturale ma la sua posizione politica era molto più complessa

Andrea Zannini

Alla ricerca dei riferimenti culturali della prima candidata presidente del consiglio dichiaratamente di destra della storia repubblicana, ci si è ricordati in una foto di Pier Paolo Pasolini esposta in una manifestazione di Fratelli d’Italia. Un’immagine pressoché immancabile in quest’anno di celebrazioni, ma in realtà è da lungo tempo che il poeta de “Le Ceneri di Gramsci” esercita un‘attrazione particolare all’interno di quel mondo complesso.

Nel “supermarket” Pasolini, cioè nella sterminata produzione letteraria e pubblicistica del poeta di Casarsa, i riferimenti che si possono pescare sul fascismo e sul neofascismo sono infiniti. Segno di un’attenzione autentica non solo per il regime che Pier Paolo aveva conosciuto e attraversato, ma anche per come la destra si era trasformata nella grande modernizzazione italiana del secondo dopoguerra. Con l’eccezione di qualche intellettuale, il mondo della Fiamma tricolore cominciò tuttavia ad interessarsi non episodicamente di Pasolini solo dopo il polverone provocato dall’Espresso con la pubblicazione nel 1968 della poesia “Il Pci ai giovani!!”. In quegli stralci estrapolati dal contesto, il poeta comunista si dichiarava, a proposito delle manifestazioni del ’68, dalla parte dei celerini poveri contro gli studenti figli di papà. Questa la semplificazione che ne venne fatta, e il messaggio piacque moltissimo al neofascismo nostrano.

Con l’originalità delle sue posizioni, Pasolini riuscì tuttavia a dividere anche la destra. I reazionari e i tradizionalisti lo consideravano l’emblema della degenerazione morale comunista (anche per la sua omosessualità). Fu ripetutamente denunciato per le sue opere scandalose e attaccato, anche fisicamente, in pubblico. Nelle sedi del Msi, soprattutto tra i giovani, Pasolini cominciò invece a rappresentare un simbolo di libertà di pensiero: cioè qualcuno che, provenendo dal grembo comunista, si ribellava all’«egemonia culturale» (l’espressione è dello stesso Pasolini) di cui aveva fatto parte.

La “scoperta” di Pasolini da parte dei missini era tuttavia una riduzione del suo pensiero ad alcuni slogan. Il rifiuto del consumismo, del capitalismo, dell’involuzione morale della modernità, la nostalgia per la funzione sociale della religione, la sua posizione contro l’aborto: tutta la complessità del pensiero politico e artistico pasoliniano veniva – ed è ancora – ridotta quasi sempre a un bignami di rottura e trasgressione rispetto al conformismo culturale della sinistra. Quello che Pasolini chiamava «fascismo di sinistra», utilizzando naturalmente il sostantivo, come sempre, in termini negativi.

La posizione, anche politica, di Pasolini era infinitamente più complessa. A proposito delle stragi di Milano e Brescia, ad esempio, scrisse che le responsabilità stavano in capo a polizia e governo, che se avessero voluto le avrebbero potute impedire, ma che «responsabili di queste stragi siamo anche noi progressisti, antifascisti, uomini di sinistra». Perché - si autoaccusava - «ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti Nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro».

Naturalmente, posizioni di questo tipo non fecero che aumentare la distanza che separava il pensatore “corsaro” dalla sinistra tradizionalista, che lo accusava alternativamente di nostalgie reazionarie e opportunismo capitalistico. Il culmine venne toccato nei primi anni ’70 quando le sale si riempivano per le licenziose pellicole pasoliniane della “Trilogia della vita”, dove nudi e amplessi abbondavano, e contemporaneamente il regista prestava il suo nome come direttore di Lotta Continua. Il “fascismo” da cui Pasolini metteva in guardia era invece, prima di tutto, la nuova cultura di massa, che generava scelte politiche opposte, ma in definitiva con lo stesso significato culturale. In questo quadro egli si augurava (1975) «che i fascisti continuino a votare fascista». Apriti cielo.

Ciò che gratificava la destra, e che la rende ancor oggi, quantomeno, interessata al poeta di Casarsa fu la sua apertura, contro ogni steccato, rispetto alle sue ragioni. Emblematico il fatto che l’ultimo componimento, “Saluto e Augurio”, dell’ultima raccolta di Pasolini pubblicata nel maggio 1975, “La nuova gioventù”, sia stato un discorso rivolto a un fascista, e nel friulano delle origini: “A è quasi sigur che chista/a è la me ultima poesia par furlàn/e i vuèi parlàighi a un fassista/ prima di essi (o ch’al sedi) massa lontàn ”. Il radar di Pasolini era aperto sul mondo.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto