Passero-Chiesa, l’arte della réclame nel primo Novecento
UDINE. «Erano stivati in polverosi bauli in soffitta. Quando ci siamo trasferiti al nuovo stabilimento, nel 1960, li abbiamo finalmente aperti. È stata una scoperta meravigliosa: uno dopo l’altro tiravamo fuori i più bei bozzetti dei manifesti pubblicitari stampati dalla ditta Passero-Chiesa dall’Ottocento agli anni Trenta».
Giuseppina Chiesa, novant’anni il prossimo febbraio, titolare dal 1950 per più di quaranta della casa tipografica udinese Passero-Chiesa (ultima sede a Molin Nuovo, su progetto dell’architetto Gino Valle), ricorda così il ritrovamento del patrimonio ereditato assieme alla ditta del nonno Giuseppe Chiesa, scomparso nel 1942.
«Li feci subito restaurare e incorniciare per appenderli alle pareti dello stabilimento e nel 1982 fu organizzata una mostra a Udine e in altre sedi con 150 esemplari».
Oggi a quei bozzetti (e non solo) è dedicata la mostra Réclame, in corso a Gorizia fino al 20 ottobre nella sede della Fondazione Carigo, ente promotore e oggi proprietario della collezione fortunosamente ripescata in un’asta d’arte nel 2003. I manifesti, infatti, sparirono nuovamente dopo il fallimento della ditta: «Nel 1991 mi sono decisa a lasciare e ho ceduto l’azienda.
Ma quando fallì, da un giorno all’altro i bozzetti sparirono. Al momento della vendita cercai invano di tenerli, ma furono inventariati come arredo e dovevano rimanere ai nuovi proprietari». I preziosi documenti, che scrivono una pagina significativa della storia pubblicitaria, della grafica artistica e dell’industria friulana e italiana del Novecento, sono stati dunque per la seconda volta salvati, riuniti come collezione unica ed esposti nella splendida e ben allestita mostra di Gorizia.
La rassegna – curata da Isabella Reale e da Annalisa Delneri, quasi 5.000 visitatori a oggi, visite guidate del weekend sempre affollatissime – è un percorso festoso, di figure e colori, nella storia friulo-giuliana scritta anche attraverso marchi prestigiosi (come la Birra Moretti o i biscotti Delser). Ed è un percorso nell’arte, con firme quali Orell, Spazzapan, de Finetti, Crali, Mitri, Saccomani...
«Alla morte di mio padre raccolsi il testimone. Avevo ventisei anni. Non avevo esperienza, ma ero cresciuta con i nonni respirando aria di azienda. Così, anche se dopo gli studi di ragioneria avrei desiderato fare medicina, ho preso le redini. Non me ne sono mai pentita».
La signora Chiesa, che potrebbe vantarsi del titolo di Cavaliere e Ufficiale della Repubblica italiana – «Bah, sono sciocchezze» – è uno dei rari esempi di donne imprenditrici del secondo dopoguerra. Con lei la Passero-Chiesa arrivò ad avere fino a 118 dipendenti – «Si lavorava sempre, le macchine non venivano quasi mai spente» – e non furono pochi i clienti di prestigio in tutta Italia: «Ricordo l’incontro con il signor Peroni all’ex stabilimento della Dormisch. Ero fiera di poter fornire una ditta così importante».
Ma accanto a quello ci furono poi altri nomi come Doria, Colussi, Motta, Stock, Illy e via dicendo: l’industria italiana cresceva e in parallelo cresceva la fama della Passero-Chiesa, testimone di quei tempi attraverso cartelloni ed etichette.
Non mancarono i momenti critici dallo stop (e dai bombardamenti) delle due guerre, alle proteste del Sessantotto: «Le proteste miravano a mettere operai contro padroni. Sotto di Natale, esausta per i continui blocchi alla produzione, riunii tutti e dichiarai che avrei chiuso prima per le festività e che, se le cose continuavano in quel modo, al rientro avrei portato i registri in Tribunale mollando l’azienda. Sa, non ero mica la Fiat, io! Ebbene mi arrivò una raccomandata in cui un dipendente si licenziava e tutto ritornò nella norma: era lui l’unico sobillatore...».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto