Piccolo mondo in vetta: i sapori e il ritmo di sempre nell’universo di Monteriù

Il racconto dei pascoli sulla nostra montagna si conclude dai Del Missier, Nella conca sopra malga Losa e Ovaro al dolce suono dei campanacci
Malga Monteriù, ventiduesima e ultima puntata di questo viaggio dentro l’alpeggio dei nostri giganti. L’ho espressamente lasciata in fondo perché Giorgis Tiziana e Del Missier Lucio sembrano fatti apposta per recitare l’ultimo atto di questa terapia, qual è l’annusare il profumo del legno di faggio messo a bruciare. Tiziana starebbe ore a parlarti. Nel suo registro esistenziale trovano spazio iperboli emozionali, sane per il tono acustico e sistemizzate sulla semplicità utile ai complicati.


«Staremo ancora qualche anno quassù e poi vedremo cosa fare» racconta Tiziana. Hanno una figlia di nome Barbara che ogni tanto s’inerpica per far loro compagnia. Le salite per arrivare alla Monteriù sono due: la prima parte da Latteis, dove ogni anno vengono portate le mucche per poi iniziare la transumanza. La seconda è quella storica, che già nel nome preannuncia ripidi capogiri. «La Stentaria ha una pendenza molto accentuata. Da Ovaro infatti non riusciamo a salire, così siamo costretti a portarle in camion per un buon pezzo di strada». Lucio ha munto la prima volta a sette anni, poi ha riparato cinghie e motori. Tiziana faceva la segretaria e ha seguito l’amore. Il comune di Socchieve, proprietario della malga ha rinnovato la loro gestione per poco più di un lustro. Tiziana non ha paura di parlare del rapporto tra il presente e il futuro. «Quando le cose cominciano a invecchiare servono dei cambi, forze fresche».


Sono partiti con tre mucche nel 2000, oggi diventate 26, di cui 16 da latte. In tutte le malghe ho sentito ripetere la parola passione come una liturgia, un mantra recitato a messa, per quelli che non vogliono capire o che ignorano le fatiche, gli sforzi del dover rimanere a più di 1000 metri sul livello del mare. «Anni fa ho dovuto chiedere una mano a dei signori per portare avanti la malga. Mio marito era stato poco bene e quindi mi sono ritrovata da sola. Grazie a questi amici siamo potuti sopravvivere».


La Monteriù è adagiata in una conca, tra malga Losa e la dorsale di Ovaro. Non è il luogo più facile da raggiungere. «Quelli che vengono è perché sanno che siamo qui». La malga possiede un suo “areale”: il luogo del pascolo, lo sguardo verso l’orizzonte coperto dai monti, l’immaginaria funivia che lega l’alpeggio alle valli. Tiziana racconta che «i primi di ottobre mettiamo su i campanacci alle mucche e scendiamo a Luincis dove abbiamo una stalla in affitto. Posticipare la discesa è forse diventata un po’ una moda, per non consumare troppo fieno a valle», dice Tiziana.


Il modo per conciliare modernità e tradizione vuol dire ragionare in termini di utilizzo e di risparmio. La crisi – la transizione da uno stato all’altro – ha costretto le professioni a scegliere. E scegliere il mondo delle malghe non può venir deciso a notte fonda. «Io non sono arrabbiata ma vorrei solamente che ci fosse più puntualità nell’erogazione dei contributi e, in ultimo, chiedere che non si dimentichino della nostra presenza». Monteriù ha pure la criticità della rete telefonica, che non prende praticamente mai. Quindi, provate a chiamarli al 3356721052. Se non vi rispondono allora prendete l’automobile e salite da Latteis, seguite le indicazioni e subito dopo il torrente Pieltinis tenetevi lungo la pista forestale che vi porterà dritti da Tiziana e Giorgio.


Il viaggio nelle malghe si conclude qui. Scendo anch’io a valle e ritorno a casa con un catalogo di emozioni: mi hanno accolto, sfamato e dato da bere; mi hanno trattato come un viaggiatore confuso, rincuorato, si sono arrabbiati e hanno sorriso. No, non possiamo dimenticarci di loro. Sarebbe perfido.


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