Pozzuolo e l’ultima cavalleria Fu battaglia tra gentiluomini

Gaspari e la mitica carica dei lancieri mentre sul Carso si moriva in trincea
Di Paolo Gaspari

“La battaglia dei gentiluomini, Pozzuolo e Mortegliano il 30 ottobre 1917” (176 pagine, 24 euro), è il titolo del libro che Paolo Gaspari ha appena dato alle stampe in ricordo di quello che fu un episodio straordinario e singolare della Grande Guerra - l’assalto della cavalleria in tempi in cui ormai si combatteva e si moriva nelle trincee – secondo per fama soltanto alla disfatta di Caporetto. E in questi stessi giorni l’autore pubblica, è il caso di dire in abbinata, “La battaglia dei generali tra Codroipo e Flambro il 30 ottobre 1917” (208 pagine, 24 euro). Ecco come l’autore ricostruisce quegli eventi.

di PAOLO GASPARI

I popoli piú civili sono quelli che hanno piú memoria storica, che coltivano la conoscenza del passato e onorano gli uomini che hanno compiuto atti di valore e di dedizione al bene comune. La conoscenza storica diffusa è quindi un’espressione del grado di civiltà di una popolazione.

In genere, le popolazioni vicine a un confine pericoloso sono portate o a diventare guerriere o a conoscere bene la storia. Comunque, la conoscenza del passato è per loro una condizione di vita.

Nella Grande Guerra i friulani sono la popolazione italiana che in proporzione pagò il prezzo piú alto: il 27 per mille dei morti sul totale della popolazione. Non c’è quindi da meravigliarsi se in Friuli piú che altrove la Grande Guerra vive nella memoria popolare. Ciò è dipeso dalle spoliazioni dell’anno di occupazione e, soprattutto, proprio dal fatto che le battaglie della ritirata di Caporetto furono combattute “tra la gente”, dentro i paesi.

Il ruolo dei friulani nel recupero della memoria storica della Grande Guerra in preparazione del centenario 1914-2014 può essere una ricchezza per il recupero del senso di sé degli italiani. Cosa sanno gli italiani della Grande guerra? Molto poco. In genere quello che hanno visto al cinema e dagli stereotipi leggendari orecchiati qua e là.

Oltre a Caporetto, una delle poche battaglie della Grande Guerra che in un qualche modo l’italiano medio saprebbe caratterizzare è Pozzuolo del Friuli: “le cariche della cavalleria”. Che nella guerra di trincea per antonomasia – combattuta tutta in montagna o sul Carso – si sia enfatizzata l’unica battaglia in cui vi furono cariche di cavalleria, la dice lunga sull’interpretazione che a livello scolastico si è data di quella guerra.

La prima guerra mondiale fu un guerra di massa come prima non s’era mai vista. Per l’Italia, fu la guerra in cui le classi rurali – braccianti, contadini, coloni, pastori, carrettieri – presero coscienza (dopo mezzo secolo di unità) di essere tutti sotto uno stesso tetto e che se la casa andava a fuoco, tutti dovevano dare una mano.

Le classi rurali piú umili guadagnarono medaglie ed encomi, godettero dell’amicizia vera come unica emozione positiva nella precarietà giornaliera, sentirono la simpatia e l’affetto di quegli ufficiali piú dotati di umanità e senso della responsabilità che, scoprendo per la prima volta la pazienza, la generosità, la laboriosità del figlio del popolo, si schierarono per la sua emancipazione. Delle 360 medaglie d’oro, 38 mila 355 d’argento, 59 mila 399 di bronzo e 28 mila 356 Croci di Guerra, la gran parte andò appunto ai neo-cittadini che si dimostrarono valorosi tanto quanto quelli di altre nazioni con molti piú decenni di diritti di cittadinanza.

Per l’Italia quella fu anche la guerra d’emancipazione delle donne e dei contadini. Gli operai specializzati erano talmente pochi che erano piú preziosi nelle fabbriche che al fronte. Le donne presero il posto degli operai generici e 700 mila furono occupate nelle fabbriche e nella tessitura e parteciparono al grande decollo industriale che si ebbe in Italia proprio con le forniture militari per la prima “guerra di materiali”. Le donne andarono cosí a svolgere mansioni nell’industria e nei servizi che in tempi normali gli sarebbero state permesse dopo svariati decenni. Cosí, emancipandosi nel lavoro – che avrebbe dato loro l’indipendenza economica – e nell’acquisizione delle responsabilità nella gestione dell’economia rurale, avrebbero accelerato il momento in cui anch’esse avrebbero dovuto avere il diritto di voto, base per gli altri diritti di cittadinanza.

Questi diritti sono la base del senso di patria. Il patriottismo occidentale si nutre con i diritti di cittadinanza, con il senso di sé, di sentirsi pari, di avere la garanzia di poter controbattere i soprusi dei maggiorenti. Le classi contadine non erano pervase dal patriottismo perché fino ad allora ben poco lo Stato aveva fatto per loro.

Nel trauma di un esercito sconfitto e in ritirata per l’inaffidabilità delle classi popolari – semianalfabete e non patriottiche –, le cariche a cavallo con le sciabole sguainate dell’unico corpo militare composto esclusivamente da membri della nobiltà, della borghesia e della possidenza terriera, accomunati dalla fedeltà alla monarchia rappresentano la riaffermazione del ruolo dell’élite. Nella “nuova” guerra di massa e di materiali il ruolo della cavalleria era venuto improvvisamente a scomparire. In Italia, l’addestramento dei cavalieri era superiore a quello della fanteria, solo che, per uno di quei paradossi che la Storia genera con sfrenata verve orgiastica, i combattenti più addestrati e con maggiore spirito patriottico avevano alla fin fine combattuto di meno di quei fanti-contadini che per oltre due anni erano andati all’attacco allo scoperto, in salita, in inferiorità di fuoco, di tattica e di addestramento.

In altre parole: i fanti avevano superato in virtù di coraggio, tenacia e resistenza le élite “cavaliere” che avevano avuto pochi caduti, nessuna importante azione militare anche rispetto ad altre truppe scelte come i Granatieri di Sardegna e gli alpini, che avevano pagato un prezzo altissimo alla loro fama. Ecco quindi la valenza simbolica che assunse la battaglia di Pozzuolo.

Caso unico in quella guerra di massa, vi combatterono i rampolli di tre antiche casate principesche – Chigi, Gonzaga e Rospigliosi Pallavicini (che vi morí) – di una dozzina di famiglie marchionali, comitali e di nobiltà cittadina. A essi andò un numero elevato di medaglie d’oro – Ettore Lajolo, Carlo Castelnovo delle Lanze e in seguito Elia Rossi Passavanti – in rapporto alla durata del combattimento e all’esiguità dei combattenti coinvolti (900).

Le medaglie d’oro da Caporetto (24 ottobre) al Piave (10 novembre) furono 15, di queste ben 6 furono guadagnate in quel 30 ottobre 1917 tra Pozzuolo e Codroipo, per non parlare delle oltre 80 d’argento. In poco piú di 24 ore ci fu una concentrazione di azioni valorose compiute da cittadini-soldati di cui pochissimi italiani d’oggi conoscevano l’esistenza. Pozzuolo, Mortegliano, Flambro, Orgnano, Carpeneto, Sclaunicco, Nespoledo, Villacaccia, Galleriano, Pozzecco, Zompicchia, Rivolto, Codroipo, Goricizza, i ponti della Delizia, furono altrettanti campi di battaglia ove i 300 mila italiani che si ritiravano per mettersi al riparo dietro il Tagliamento si aprirono la strada, paese per paese, sotto gli attacchi di quattro divisioni d’assalto tedesche e due austro ungariche.

«Lo scopo principale della storia è quello di conoscere se stessi», ha scritto un grande storico italiano. «Il presente è una trama di memorie e la grandezza dei popoli sta spesso nel modo d’interpretare e onorare i valori del proprio passato» ha scritto Gastone Breccia quasi facendo da spalla al piú lucido studioso della Grande Guerra, sir Basil Liddell Hart: «La forza di una nazione è quella che si manifesta nelle battaglie».

Quel 30 ottobre i soldati italiani, pur in ritirata, seppero reagire e combatterono con grande valore: questi due libri ricostruiscono le loro “avventure” nel dettaglio e contribuiscono a conoscerci meglio.

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