Pupi Avati: «Per caso ho scoperto Mariangela Melato»

Laura Venerus

L’amore familiare è il motore che spinge gli Sgarbi, con Vittorio e la sorella Elisabetta, a riproporre il premio Cavallini, la cui cerimonia di premiazione si è tenuta ieri al convento di San Francesco di Pordenone, come omaggio a Bruno, Romana e Rina Cavallini, ovvero alla loro madre e ai fratelli.

E di familiare c’è anche la scelta dei premiati, individuati da una giuria che - come piace ricordare a Vittorio - è formata da un numero dispari inferiore a tre. Ovvero, è il solo critico d’arte e politico a decidere chi e quando debba essere premiato. Ne esce, da 23 anni a questa parte, una serata piacevole, ritmata, incalzante e ricca di spunti, riflessioni, aneddoti quasi magici.

“Un amore familiare che si rinnova a Pordenone” è stata la premessa nella presentazione del Cavallini di Valentina Gasparet, che ha condotto i fili snodandoli attraverso i racconti degli ospiti.

In apertura la scena è stata catturata da Pupi Avati, premio alla carriera, che in una sorta di trama di un cortometraggio ha narrato la sua folgorazione per la regia. Un magnate ha creduto in lui e finanziato il primo film con 160 milioni di lire e il secondo con altri 110. Ed è proprio in questo secondo film che gli si presenta sul set un’attrice, ma non quella scritturata nel provino. “La mia amica non poteva e ha mandato me”, s’è giustificata. “Non ti voglio” è stata risposta di Avati. Ma lei desiderava recitare e, pur di stare vicino al set, s’è appollaiata sulla sedia di un bar attendendo. E alla fine, mosso a pietà, Avati le ha concesso di recitare la parte: era convinto gli avrebbe rovinato il film. Invece, «lei non recitava, lei era. E quando mi sono avvicinato esterrefatto le ho chiesto: come ti chiami? Mariangela Melato».

Dal cinema alla saggistica, Franco Cardelli ha provato a raccontare cosa dovrebbe arrivare a un lettore dalle pagine di un libro. Proprio lui che ha dichiarato di voler «dimettersi dalla letteratura»: con il premio Cavallini si è cercato di strappargli un ripensamento.

Asmara e l’Eritrea come luoghi e tempi lontani dove puoi trovare in un negozio un cappotto del 1940 ancora nuovo, mai usato: la decadenza di questa terra sconosciuta è stata narrata da Erminia Dell’Oro, insignita di un premio speciale, con una poetica struggente in grado di interrogarci sul valore di ciò che diciamo di riconoscerci e sul senso dei giudizi, spesso figli di pregiudizi.

Laura Pariani ha ricevuto il premio per la narrativa «perché arrivata quarta al Campiello – ha argomentato Sgarbi – invece meritava ben più di altri di vincere. Quindi, a fronte di questa ingiustizia, le ho assegnato il Cavallini».

In una città “reduce” dall’inaugurazione della mostra sul Pordenone, non poteva mancare dallo stesso curatore Sgarbi un accenno all’importanza dell’esposizione e di una sua visita. Della ricchezza culturale di Pordenone ha parlato l’assessore regionale Tiziana Gibelli e l’assessore comunale Pietro Tropeano.

I saluti iniziali sono stati affidati all’assessore alla cultura di Barcis (dove il premio è nato) e al curatore Maurizio Salvador. —



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