«Quando Pavarotti canta si alza il sole sul mondo»

Dieci anni fa, il 6 settembre, si spegneva la voce più grande
Artista e uomo, divino nell’umano, emiliano verace, grand gourmet, voce eccelsa. «Quando Pavarotti canta, il sole si alza sul mondo», scrisse Carlos Kleiber. Popolare e amato da tutti, romantico e simpatico, pieno di genio e passione, per primo e come nessun altro riuscì a «portare l’Opera alla gente». Un desiderio che espresse più volte, la sua vocazione. Disse anche in una delle ultime interviste: «Vorrei essere ricordato come un tenore d’Opera», ma non è solo per questo che continua a essere amato e ricordato da tutti. Perché la sua grande abilità comunicativa, sia sui palcoscenici del mondo che in televisione, così informale quanto spontanea e profonda, non la manifestò solo in virtù della sua ugola d’oro. O meglio, con le sue corde vocali seppe trascendere il mero appagamento estetico del belcanto, verso messaggi extramusicali rivolti al quotidiano, capaci di toccare la vita, il vissuto e i sentimenti di tutti.


A dieci anni dalla sua scomparsa (morì il 6 settembre 2007), l’immagine mitica del tenorissimo, del re indiscusso del do di petto Luciano Pavarotti pertanto non scolora, ma riluce di una tempra sempre più forte. E anche se è una decade che è scomparso, lui continua a cantare attraverso le innumerevoli registrazioni, audio e video, così tante da non poterle contare, considerando anche tutte le apparizioni televisive, le interviste e le partecipazioni che lo resero ancora più amato, seguito, ricercato. Il cantante italiano di maggior successo internazionale, Big Luciano, nato a Modena il 12 ottobre del 1935, figlio di un fornaio e di una manifatturiera di tabacchi, non immaginava nemmeno di arrivare a tanto e non fu la musica la sua prima passione. Prima di iniziare la sua carriera mondiale, inarrivabile, superlativa, pur senza gli studi in Conservatorio, fu professore di educazione fisica, pensate, alle scuole elementari e poi all’Istituto Magistrale di Modena. Canterino sin da piccolo però, grazie ad una passione che gli fu trasmessa dal padre, tenore alla Corale Rossini. Così Luciano, d’innato talento, seguì le sue orme e da ragazzino fu voce bianca nel Coro del Teatro di Modena. Trascorreva le giornate ascoltando dal giradischi di casa tutte le registrazioni della collezione di famiglia e dopo gli studi con Arrigo Pola ed Ettore Campogalliani, nel 1961 ottenne il primo riconoscimento al Concorso Internazionale Achille Peri. Nello stesso anno il debutto al Teatro di Modena nel ruolo di Rodolfo ne
La bohème
di Puccini, diretta da Francesco Molinari Pradelli. Un ruolo che diventerà ben presto il suo alter-ego artistico, un cavallo di battaglia del suo repertorio. Nello stesso anno è Alfredo Germont ne
La traviata
in tournée a Belgrado col Teatro La Fenice di Venezia. Ormai è lanciato e dopo due anni inizia a consolidare la sua carriera all’estero. Nel 1963 è a Londra e nel 1965 mette per la prima volta i piedi negli Stati Uniti, per un amore che non finirà mai. A Miami con Joan Sutherland ricopre il ruolo di Edgardo nella
Lucia di Lammermoor
di Donizetti. Nello stesso anno debutta al Teatro alla Scala di Milano, diretto da Herbert von Karajan, a fianco Mirella Freni ne
La boheme
. Da lì le stelle, la consacrazione che lo porterà ad ottenere, in una brillantissima carriera di ben 45 anni, 6 Grammy Haward, una discografia di oltre settanta registrazioni e un’infinità di riconoscimenti, dei più disparati, tra cui il titolo di Messaggero di pace delle Nazioni Unite, la dedica di un asteroide, il Nansen Refugee Award, la Legione d’Onore dal ministero della cultura francese, il Kennedy Center Honors, Il Cavalierato di Gran Croce della Repubblica italiana, il Premio nell’eccellenza alla cultura dal Ministero dei Beni Culturali che assegnava il titolo per la prima volta. Ha collaborato con i cantanti, le orchestre e i direttori più celebri della sua epoca, è ancora la voce sublime dei protagonisti di Bellini, Donizetti, Verdi, Puccini, ambasciatore dell’Opera italiana nel mondo. Benefattore d’altri tempi e sensibilissimo al volontariato e alla beneficenza, la sua personalità e la sua arte hanno oltrepassato il pubblico dei melomani puri, attraverso operazioni come la fortunata esperienza dei Tre Tenori, con Placido Domingo e José Carreras, o il Pavarotti & Friends che lo ha reso molto amato anche tra gli appassionati del pop, del rock e dei nuovi generi, duettando con oltre cento artisti internazionali. Anche se il cancro lo ha spento dieci anni fa, quanto ha scritto Daniel Hicks sul New York Times: «Quando Pavarotti nacque, Dio gli baciò le corde vocali», vale ancora oggi e per sempre.


©RIPRODUZIONE RISERVATA


Riproduzione riservata © Messaggero Veneto