Quella trincea a Verdun chiamata Udine l’omaggio dei francesi ai nostri soldati
SE si visita il campo di battaglia a Verdun, ci si imbatte in tabelle stradali che indicano il Sacrario e il Forte di Douaumont, la famosissima Tranchée des Baïonnettes, il cippo che ricorda lo scomparso villaggio di Fleury e altri siti, ma non il nome di Udine, che appare soltanto sulle mappe.
Come spiegare quella sorprendente denominazione se non ci furono reparti italiani in battaglia?
Per rispondere bisogna andare indietro nel tempo.
Nell’agosto del 1914 la Germania si era mossa sulla base del Piano Schlieffen per una Blitzkieg avanti lettera: elaborato nel 1905-1908 in previsione di una guerra su due fronti, il piano strategico prevedeva l’eliminazione della Francia in poche settimane passando per il neutrale Belgio, e poi un colpo di maglio contro la Russia.
La parola tedesca Blitzkieg, che avrebbe assunto il suo vero significato nel 1939-1940, aveva perso in Belgio la sua prima parte (il lampo) perché i “soldatini di cioccolata” di Re Alberto avevano opposto un’eroica e ritardante resistenza, e alla fine i tedeschi furono fermati sulla Marna.
La guerra di movimento si era quindi trasformata in guerra di logoramento fra opposte trincee dalla Manica alla Svizzera che passavano a nord di Verdun.
Constatata l’impossibilità dello sfondamento, nell’autunno del 1915 il capo di Stato maggiore tedesco, Erich von Falkenhayn, concepì un diabolico piano di logoramento: massima concentrazione di fuoco su un breve tratto del fronte per dissanguare l’esercito nemico, con eventuali possibilità di accerchiamento o di sfondamento.
Ci voleva un’esca, però, per costringere i francesi ad abboccare all’amo, cioè per costringerli a non retrocedere, e il verme, per così dire, era la città di Verdun, che in Francia aveva un valore simbolico antitedesco.
A nord della città, a partire da Douaumont, c’erano diciannove forti affiancati da strutture difensive minori: un formidabile campo fortificato e a tratti trincerato che la Francia non sarebbe stata disposta a perdere.
Nella notte di Natale del 1915 il Piano fu illustrato al Kaiser, che l’approvò, e subito, nelle foreste a nord di Verdun, iniziarono i preparativi per la grande battaglia: piazzole in cemento per batterie, depositi di munizioni e ricoveri sotterranei per le truppe. Ci vollero milletrecento treni per trasportare duemilioni e cinquecentomila proiettili per l’artiglieria: era quanto occorreva nella prima settimana per i 1. 220 cannoni schierati da Falkenhayn (uno ogni dodici metri del fronte d’attacco), ma furono consumati in due giorni!
A partire dall’alba del 21 febbraio 1916 le batterie tedesche (306 pezzi di artiglieria campale, 542 di artiglieria pesante, 152 lanciamine, più altri pezzi di medio e piccolo calibro, e due “berte” che sparavano proiettili da una tonnellata a più di trenta chilometri! ), sbriciolarono uomini, alberi, cavalli sul campo, case e palazzi in città, e causarono gravissime perdite ai francesi. Ma come previsto da Falkenhayn la Francia difese a ogni costo la città-simbolo sotto la guida di Philippe Petain, e il massacro continuò fino al 19 dicembre, quando i due eserciti ritornarono sulle posizioni di partenza. Bilancio: 420 mila morti francesi e 270 mila tedeschi, più altre centinaia di migliaia di feriti da entrambe le parti.
Orbene, fu durante lo studio di quell’ “inutile strage” su una carta al 5. 000 che la Tranchée d’Udine ci apparve a sud del forte di Douaumont.
Non riuscendo a comprendere il motivo di quella intitolazione, ci siamo rivolti al Museo della battaglia, e questa, in traduzione, è la risposta: “Le trincee francesi portavano spesso il nome di ufficiali, di siti nei quali furono scavate o di città. È proprio questo il caso della Tranchée d’Udine, città famosa durante la guerra perché la stampa francese legava il nome di Udine alle battaglie dell’Isonzo, che opponevano l’esercito dell’Italia, alleata della Francia, all’esercito austro-ungarico. Non ci furono truppe italiane nella battaglia di Verdun del 1916. Ma una trentina di chilometri a ovest i garibaldini volontari italiani avevano subito gravi perdite nel 1914-1915. E nella primavera del 1918, ancora più a ovest, il Secondo Corpo d’armata italiano si era battuto fra le Argonne e nella Champagne”.
Il nome di Udine, “capitale della guerra” in Italia, molto popolare in Francia, fu visto quindi come simbolo di resistenza e issato come ideale bandiera dai francesi sul campo insanguinato di Verdun. —
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