Raccolti in un libro i tre diari inediti di Celso Costantini: anticipò Bergoglio
PORDENONE. Un precursore che «annuncia tempi nuovi, i quali sembrano convergere con quelli del pontificato di Papa Francesco». Invocò l’internazionalizzazione del collegio dei cardinali, «fu lui a postulare un successore di Pietro non italiano e non europeo», a prodigarsi per una «Chiesa missionaria, in uscita».
Come “voce di uno che grida nel deserto” ancora nel 1939 «propose la convocazione di un concilio». Con queste parole il cardinale segretario di stato vaticano Pietro Parolin firma la prefazione del libro “Il cardinale Celso Costantini tra memoria e profezia” (Marcianum Press), l’ultima fatica di monsignor Bruno Fabio Pighin – ordinario della facoltà di diritto canonico San Pio X di Venezia e direttore scientifico della rivista internazionale Ephemerides Iuris Canonici – che sabato 21 settembre alle 15 nel palazzo della Camera di commercio, verrà presentata nell’ambito di Pordenonelegge.
Gli ultimi scritti del porporato originario di Castions di Zoppola, composti nel 1958 e scoperti nel 2019, vengono pubblicati con annotazioni storiche: riportano i colloqui personali del cardinale con i papi Pio XI e Pio XII e le sue proposte di riforma della Chiesa.
«Un profeta che vede realizzate le sue intuizioni e ispirazioni dopo oltre 60 anni dalla sua morte», constata il vescovo di Concordia-Pordenone Giuseppe Pellegrini. Intuizioni che si inquadrano nelle linee della Evangelii gaudium, per dirla col cardinale Fernando Filoni, «e della visione inclusiva con cui, coraggiosamente, papa Francesco apre alla Cina», dove peraltro l’illustre porporato fu nunzio apostolico dal 1922 al 1933 e fondatore della Congregatio discipulorum Domini.
Il suo archivio privato è stato ordinato solo 3-4 anni fa in 66 faldoni. Con l’avvio della causa di beatificazione, a ottobre 2017, si è proceduto a un esame completo del materiale. A gennaio il vicepostulatore padre Simon Simon Ee Kim Chong e il pronipote del cardinale, Pietro De Biasio, hanno richiamato l’attenzione di monsignor Pighin su tre raccolte di fogli dattiloscritti, corretti a mano. Costantini raccomanda di tutelarli, con l’obbligo del segreto per «un periodo congruo».
Una parte, dice l’autore, «sono “confessioni” molto intime, simili a un testamento spirituale. Una seconda raccolta riporta i temi che discusse nelle udienze personali con Pio XI e soprattutto Pio XII: si tratta di materie molto delicate e sensibili, non ancora accessibili agli studiosi in Vaticano. Una terza parte riguarda le sue prese di posizione per una riforma della Chiesa».
In Cina l’allora nunzio dotò la comunità cristiana di vescovi, sacerdoti e religiosi indigeni, di una liturgia nella lingua dei Mandarini. «Questo è abbastanza noto, ma è divenuto di estrema attualità dopo l’accordo della Santa Sede con la Repubblica Popolare cinese del 22 settembre 2018».
Un libro-diario intimo, sin dall’inizio, dal 28 settembre 1922 quando parte per la Cina: «Addio Italia, mia patria diletta, che sento di amare tanto più quanto più sei maltrattata dai nemici di fuori e dagli esaltati di dentro». Un libro-diario che “copre” tutto il mondo.
«È venuto don Luigi Passelli da Udine (scrive a Roma il 23 maggio 1945, ndr) e ha portato una lettera di monsignor Falcon con buone notizie della mia famiglia. Mi dice che l’arrivo degli alleati ha subito turbato il mercato facendo rialzare i prezzi in modo enorme. E che i partigiani sono in gran parte comunisti e hanno commesso atti di crudeltà pari ai tedeschi».
Racconta della rinuncia alla nomina a patriarca di Venezia per ragioni di salute e, nel luglio 1949, scrive pagine poetiche e profonde sul significato della vita.
Nel 1953 si rivolge ai friulani nel mondo: «Onorate la nostra grande e piccola Patria col vostro contegno e col vostro lavoro». Nel 1956 denuncia la “chiusura” delle chiese locali: «Povero vescovo! Mio fratello dovette cercare altra diocesi perché non si voleva fargli proseguire gli studi a Roma. Ritenevano (i superiori, ndr) fossero una novità che disturbava il tranquillo regime della diocesi».
Quindi il diario dell’ultimo anno di vita, il 1958: «A marzo venne invitato al Sant’Uffizio per esporre buona parte del suo pensiero. Si trattava di considerazioni delicate e bonarie, che vanno collocate in quel tempo. Nessuno aveva il coraggio – conclude monsignor Pighin, al quinto libro-saggio sul cardinale – di dire queste cose: sembrava, all’epoca, lesa maestà». —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto