Rampini, il maestro dei restauri che salvò i capolavori del ’600

La bellezza e l’arte sono le compagne di viaggio della sua vita privata e professionale, la riservatezza e il pudore i suoi tratti caratteriali. Oggi il professor Gianpaolo Rampini, veneziano di nascita e udinese d’adozione, festeggia 86 anni e per la prima volta si racconta in un’intervista al Messaggero Veneto.
Inutile cercare in rete: nulla si trova. Il suo nome tuttavia è ben noto in tutto il Friuli e nei più importanti musei europei che hanno affidato alle sue grandi capacità di restauro i dipinti più preziosi delle loro collezioni. Durante i giorni del terremoto, con l’allora direttore dei Civici Musei Aldo Rizzi, mise in salvo il patrimonio del Friuli ferito.
Nel suo laboratorio di restauro vicino al cielo, all’ultimo piano del Castello di Udine, ha curato e fatto tornare all’originaria bellezza i quadri dei maestri veneti del Seicento e Settecento del patrimonio pubblico e privato, friulano e internazionale. Apprezzato artista in gioventù, scelse per contaminazione famigliare, il padre era collezionista, di esercitare nel restauro le sue sensibilità, capacità creativa e conoscenza della storia dell’arte.
Quando e cosa la portò a Udine?
«Nei primi anni Sessanta venne indetto un concorso al quale partecipai con esito positivo per un posto di restauratore ai Civici Musei. A quel tempo vivevo a Venezia e lavoravo alle Gallerie dell’Accademia collaborando con Antonio Lazzarin, uno dei più grandi restauratori del Novecento. A Udine il felice incontro con il direttore Aldo Rizzi che mi propose di creare un gabinetto di restauro. Tutto qui! Iniziò così il mio lavoro che è andato avanti fino al 2005 fra committenza pubblica e privata. Una proficua collaborazione proseguita anche con i direttori Giuseppe Bergamini, Isabella Reale e Gilberto Ganzer del Museo di Pordenone».
Che ricordo ha di quei primi anni?
«Iniziò dal 1961 un’attività di grandi mostre allestite in regione, dedicate alla pittura veneta che richiesero importanti interventi su opere presenti nei musei e nelle chiese. Fu un impegno di ricerca oltre che di restauro sui grandi maestri, da Tintoretto al Guardi, dal Bassano al Grassi e al Tiepolo, senza dimenticare Amalteo, Pordenone, Ricci e tanti altri».
Cosa ricorda in modo emozionante della mostra del Tiepolo a Villa Manin nel 1971?
«Arrivarono opere da tutto il mondo, fra queste anche un Tiepolo raffigurante la Reggia di Würzburg di proprietà della Staatsgalerie di Stoccarda con la quale in seguito collaborai per molti anni. In alcuni casi erano quadri fermi da secoli che dovevano essere restaurati».
Che metodo di restauro applicava?
«A quei tempi si prediligeva il restauro mimetico non visibile, per reintegrare parti mancanti della superficie pittorica, praticato solo da chi proveniva da accademie d’arte. Il lavoro doveva essere corredato da una dettagliata documentazione fotografica. Immagini e radiografie (Rampini su fra i primi a utilizzare la radiologia per scoprire eventuali stratificazioni pittoriche, ndr) che conservo e sarei felice di donare».
Si è mai pentito di aver abbandonato una promettente carriera di artista, ha mai ripreso in mano la tavolozza?
«Assolutamente no! Oggi, alla mia rispettabile età matura, scopro, guardando disegni e fotografie, che avevo qualche buona prospettiva come artista. Ma sono solo ricordi di prima degli anni ’60 quando esposi alla Galleria Bevilacqua La Masa e alla Biennale di Venezia».
Che tipo di rapporto si instaura fra lei e una tela da restaurare?
«Direi quasi un contatto amoroso, un innamoramento. Osservo con lo sguardo da storico dell’arte, la pennellata, il disegno e il colore. Dopo la ripulitura e il risanamento di una tela provo sorpresa e godimento per la bellezza che rivive».
Durante il terremoto del 1976 lei ha salvato il patrimonio d’arte e di cultura friulano.
«Nel mio piccolo ho contribuito. Lavorammo giorno e notte ricoverando nella chiesa di San Francesco di Udine quanto veniva recuperato in Friuli. Negli anni a seguire poi si procedette al restauro».
Che cosa è importante per lei nella vita e nel lavoro?
«La passione e l’impegno nel restauro che danno sorprese, la famiglia, la coerenza nelle scelte fatte e il rispetto per gli esseri viventi e l’ambiente che ci circonda, se vedo una formica la sposto, non la calpesto. In passato il mio lavoro mi ha dato la possibilità di viaggiare molto e di conoscere tante persone interessanti. Oggi viaggio meno ma continuo a lavorare. Non si smette mai di essere restauratori».
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