«Ridicolizzo la camorra sarà piú facile sradicarla» FOTO

Roberto Saviano ironico e travolgente con l’amico Piedimonte al Verdi Comicamorra: storie di malviventi goffi, imbranati e a dirla tutta dei fessi

Location Nord-Est. Sale su l’odore della camorra. Diciamo sale per una consolidata locazione sudista. Dicono sia ovunque, invece. Ah, be’, possibile. Anzi, certo. Stavolta, però, i toni si sciolgono negli sguardi della maschera tragicomica, . be quiet. C’è Saviano. Quel Saviano lí, Roberto. E allora è chiaro. Si muove felpato, lo scrittore, ovviamente guardato a vista, e i suoi open space patiscono severi limiti. A Pordenonelegge disse sí, consapevole di poter sfruttare una tonalità piú sfumata dell’usuale, addirittura comica.

È possibile sbellicarsi di camorra? O, senza esagerare, riderci sopra, dribblando la solita pista di lacrime e sangue? Il caso Stefano Piedimonte, narratore campano ed ex cronista di nera, sorregge la tesi. Lui ha messo alla porta la tristezza, sguinzagliando un popolo camorristico assai buffo, in un paio di libri (Nel nome dello Zio e Voglio solo ammazzarti, entrambi per Guanda) tanto da far saltare sulla sedia dell’esilio il Saviano, che s’innamora subito dello stile corsaro del ragazzo. I due diventano amici e, ieri sera, pure compagni di palcoscenico. In un Verdi che se avesse avuto altri ventimila posti disponibili, magari. Il pellegrinaggio si forma tre ore prima dell’apparizione.

E la coda taglia vie e piazze. “Comicamorra” ha l’anda di un cabaret, interpretando al volo il messaggio subliminale. Il duo non è rodato e poco avvezzo all’avanspettacolo, vive d’altro. Stefano, sorretto dalla napoletanità, ha un tempo scenico acquisito dalla terra. Roberto mostra una faccia scura, di solito. Pare tutto fuorché un simpaticone. Corregge Piedimonte: «Sbagliato: se vuole ti stende. Il privato lo smolla».

Okey, ricevuto. In scena pare piú agile, abbozza espressioni a noi oscure. Gesticola ampiamente e (tosse nervosa a parte) tenta la strada in salita di un Marco Paolini qualunque. La strada è percorribile. Esordisce con un ricordo: «Quando venni a Pordenone l’ultima volta, nel 2008, ero uomo libero. Presi il treno verso Napoli e, durante il viaggio, mi telefonò un amico carabiniere. “Alla stazione troverai ad aspettarti la scorta. Fattene una ragione. È cosí”. Addio libertà, pensai subito». Scopo dell’operazione: ridicolizzare la mafia, potrebbe servire a stradicarla. E dimostrare ancora quanto poveracci e grotteschi siano certi camorristi, fatti scendere dal loro piedistallo di dei maligni. Gratta gratta, la crudeltà serve per incutere terrore. E rispetto. Basta. Nudi e crudi la sostanza è scarsa.

Non sempre, purtroppo. Ma c’è da ridersi addosso a sentire certe storielle del camorrista goffo. I due svelano il lato meno osservato che non finisce sui giornali, i criminali da strapazzo sommersi dai buu, gli sfigati. Come quel tizio agli arresti domiciliari che si fa appositamente beccare dai caramba pur di fuggire dalla suocera. Saviano-Piedimonte conservano una curiosa galleria privata di ridanciani orrori malavitosi sottoforma di articoletti locali, di giornali locali, a volte ossequiosi a volte imbarazzanti. Il copione prevede un’oretta abbondante di gag, degni del miglior Fantozzi.

Il boss del narcotraffico, uno famoso, temutissimo, che insegue la bella dell’Est sfuggita a un taccheggio da discoteca. Il capo s’incazza e vuole la testa del protettore, che - invece - lo riempirà di legnate. Pure i famelici killer, quelli infallibili che lasciano i corpi sull’asfalto, talvolta si fanno fregare come polli con un banalissimo secchio d’acqua gelata. Sui pentiti l’aneddottica è ampia. «Signor giudice, mi sono pentito d’essermi pentito», disse uno. È denso il rosario dei ragazzi.

Sfiorano le canoniche 22 (a pnlegge sono svizzeri) con un pubblico in piedi fuori dal teatro davanti alla tv. Piú o meno come a casa. «Questa sera – conclude Saviano –, ridendo di loro abbiamo esorcizzato la paura, quella che incutono attraverso la loro potenza economica di oltre 65 miliardi e attraverso il potere di vita e di morte che hanno su di noi».

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