Riflettere sulla Pasqua per comprendere la nostra vita che è cambiata

La Quaresima dell’anno pandemico ha probabilmente impedito alla maggioranza di noi di partecipare nelle parrocchie a varie devozioni tradizionali. Ci sentiamo, come capita ai bambini e ai ragazzi in Dad, privati del clima più naturale dei contatti dal vivo.
La settimana Santa ci invita adesso a riflettere con più intensità e impegno sui misteri centrali della vita di Gesù: dall’ingresso trionfale a Gerusalemme, all’ultima cena con l’istituzione della Eucarestia (giovedì santo), alla Passione e crocifissione (venerdì santo), alla chiusura nel sepolcro (sabato santo), sino alla risurrezione nel giorno di Pasqua.
Riflettere sui misteri centrali della religione, vuol dire anche soffermarci sul peso che la dimensione della fede riveste nelle nostre vite. E dare un senso alla consapevolezza del Dio che si è fatto uomo, per la nostra quotidianità.
Sono certo che molti di noi ricordano la convinzione e anche la commozione delle prime comunioni: credevamo alla presenza di Gesù quasi “tangibile” nell’Eucarestia. E sono certo che ricordiamo anche l’entusiasmo di allora nell’accogliere l’insegnamento che Gesù consegnava durante l’ultima Cena: amarsi l’un l’altro con un senso di fratellanza reale, come ha richiamato lo scorso ottobre Papa Francesco, attraverso l’enciclica “Fratelli tutti”.
Il segno, però, della massima generosità di Gesù, e di partecipazione alla nostra natura umana, è stata la sua morte, che ha assunto tutti i tratti della peggior sofferenza. Cos’è, del resto la Crocifissione?
Il crocifisso, ovvero l’espressione più incredibile dell’amore di Dio nei confronti di tutti e ciascuno di noi. Il sacrificio di Gesù è iniziato dalla Via Crucis, con la salita al monte Calvario, e si è concluso dentro un sepolcro di pietra.
Ma finalmente ecco il trionfo sulla morte, con la risurrezione che rovescia la pietra del sepolcro. Ecco la luminosa felicità dell’incontro con i suoi, ecco l’umiltà di Gesù nel riconsiderare amici proprio quelli che l’avevano tradito. Anzi, riconfermandoli - a cominciare da Pietro - come fedeli custodi e divulgatori del suo Vangelo. Gesù ha compiuto il mistero dell’incarnazione che testimonia la pace di Dio con l’uomo.
Come attualizzare, allora, nella nostra esperienza del tempo pandemico, il ciclo dei misteri Pasquali? L’eccezionalità di questo tempo non permette di vivere questi giorni con quel formalismo “religioso”, che religioso non è più tanto.
Al significato profondo della settimana santa e della Pasqua, si è sovrapposta la tentazione consumistica, ormai onnipresente: venerdì santo con pesce speciale, notte di Pasqua con cenone, Pasqua e giorni precedenti con la prospettiva di spese e festività laiche tra parenti. Come recuperare, attualizzandolo, il testamento di Gesù e soprattutto il senso di risurrezione della Pasqua?
Credo innanzitutto sia importante il nostro impegno nel contrastare, di questi tempi, il rischio terribile della depressione attraverso la consapevolezza della presenza di Dio.
Non ci si può disperare, se si crede sul serio a Gesù Cristo. E neppure dovremo meravigliarci della tentazioni di abbracciarci, che inevitabilmente ci coglierà. Anche Gesù, d’altra parte, si è ritrovato dall’alto della Croce a rivolgersi al Padre, chiedendogli con angoscia: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». E già aveva sudato sangue, prima di cominciare la sua tragica “settimana santa”.
L’ha attraversata però sino alla morte, beffeggiato e torturato. Con l’abbandono e lo scoramento dei suoi apostoli: solo la madre Maria, e Giovanni hanno sempre sperato. Poi, come predetto, il terzo giorno Gesù è risuscitato.
Questo, allora, ci deve guidare: anche la nostra risurrezione dal Covid va vissuta nella speranza, nella sicurezza della fede mentre ci muoviamo ancora nelle tenebre della pandemia, malconci dentro e fuori. Risurrezione dal Covid, quindi, in molte sfere della nostra vita: la famiglia, innanzitutto.
C’è chi ha vissuto - grazie” alla pandemia - un recupero d’amore, di comunione, di reciproca conoscenza addirittura, tra coniugi e anche con i figli. Ma sono molte le situazioni di esasperazione, quando non anche di violenze di ogni genere.
La Pasqua ci offre l’occasione per andare alle radici di queste situazioni torbide. Risuscitare - con l’aiuto e la forza di Dio - tagliando o attenuando le situazioni di distacco, trovando il coraggio di fare chiarezza, magari anche con decisioni difficili.
A vantaggio anche dei figli, perchè è evidente a tutti lo smarrimento in cui versano le nuove generazioni, e non giova il grave calo demografico. Dei giovani colpisce oggi l’apatia, la difficoltà a provare entusiasmo, l’insofferenza che genera talvolta risposte violente nella vita di relazione.
Dobbiamo aiutare i giovani nella rinascita- risurrezione da condizioni di impoverimento che sono paragonabili a chiusure sepolcrali, proprio quando la vita dovrebbe trionfare nella sua primavera. E, così facendo, dovremmo propiziare la più generale risurrezione della società, e anche della Chiesa.
Ma è possibile, attraverso la nostra personale risurrezione, generare fiducia, amore e speranza anche nel tessuto sociale al quale facciamo riferimento? È possibile vivificarne i gangli più fragili, dalla famiglia alla scuola, ai percorsi di formazione; alla Chiesa che dovrebbe tornare motivo di luce e inclusione, di sale e lievito anziché produrre allontanamento?
La Chiesa siamo tutti noi: ogni persona battezzata ne è parte, ogni persona che si dice cristiana. Per questo ciascuno di noi deve trasmettere gli insegnamenti di pace e amore che sono il cuore del Vangelo. Dopo la lunga e tragica notte pandemica, risorgere nel segno di Cristo significa operare nella consapevolezza della grazia di Dio. Ma anche restare ben consapevoli dell’antichissimo detto: “Aiutati che il ciel ti aiuta”.
La grazia di Dio non è né un lamento, né un moto emozionale, opera attraverso la ragione e la volontà che dobbiamo innanzitutto riscoprire in noi stessi. —
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