A scuola di scrittura con Stefania Auci: è tra i docenti di Pordenonescrive

La scrittrice nota per la saga “I Leoni di Sicilia” dietro la cattedra nella rassegna che si terrà dal 4 febbraio al 6 marzo. «Non si può insegnare, serve sempre quel quid» 

Cristina Savi
La scrittrice Stefania Auci, docente a Pordenonescrive
La scrittrice Stefania Auci, docente a Pordenonescrive

Nota per il grandissimo successo della saga “I Leoni di Sicilia”, che narra la storia della famiglia Florio, mentre il seguito, “L'inverno dei Leoni”, ha vinto il Premio Bancarella nel 2022, Stefania Auci, con il suo stile coinvolgente e una profonda attenzione per la ricostruzione storica, è una delle voci più apprezzate della narrativa contemporanea. Sarà fra i docenti di Pordenonescrive, la Scuola di scrittura creativa di pordenonelegge, che si terrà dal 4 febbraio al 6 marzo (iscrizioni entro il 24 gennaio)

In che modo il lavoro sulla saga dei Florio ha influenzato il suo modo di raccontare storie e di insegnare scrittura?

«Ho ricevuto molte suggestioni dall’esterno, non solo dalla storia, ma anche dagli autori dell’epoca e dalle prassi sociali del periodo. Si è trattato di una sfida a superare certi limiti, cercando di rendere il passato attuale, per dimostrare come molte dinamiche e comportamenti umani non sono così distanti da quelli che viviamo oggi. E pescare quindi in quel “catalogo universale” di emozioni, relazioni e sentimenti raccontati da Omero in poi».

Qual è l’elemento chiave per rendere un romanzo coinvolgente?

«Non ho una risposta univoca, rientra nella soggettività di ciascun lettore. Personalmente, ho trovato avvincenti testi che per altri sono poco interessanti, tuttavia credo ci siano alcuni aspetti universali che possano contribuire a rendere una storia coinvolgente, come la leggibilità, la capacità della trama di evocare il vissuto di un ampio numero di lettori. Ma alla fine c'è sempre quel “quid” che scatta in modo privatissimo, qualcosa che non può essere insegnato o artificiosamente creato».

Quali sono gli aspetti più stimolanti di un’esperienza di docenza in una scuola di scrittura?

«Fermo restando che mio avviso c’è una componente personale che riguarda il talento e la capacità di ciascuno di noi di creare e amministrare storie, ho sempre apprezzato l’idea non tanto di insegnare a scrivere, che è quasi impossibile, ma di poter sollecitare la riflessione su ciò che si vuole raccontare e, arrivando al “pratico”, quali parole scegliere, quale registro e immaginario azionare».

Oltre alle scuole di scrittura potrebbero essere utili anche “scuole di lettura” in un Paese come il nostro, dove notoriamente si leggono pochi libri, per avvicinare al piacere della narrativa e migliorare la comprensione del testo?

«Certamente! Perché è fondamentale chiederci cosa l’autore vuole raccontarci davvero. Le faccio un esempio, il mio grande amore, “Il Gattopardo”: con la descrizione accurata degli abiti o, durante la nota scena del ballo, con il racconto delle ragazze che sembrano tante scimmiette bruttarelle, frutto probabilmente di legami endogamici, Tomasi di Lampedusa ci vuole parlare di una società chiusa in se stessa: è il “sottotesto” che pesa».

Quali consigli darebbe a chi si approccia alla scrittura narrativa per la prima volta?

«Non aspettarsi di diventare automaticamente l’autore di un grande capolavoro letterario, ma avere consapevolezza che si va al corso non per sentirsi dire “quanto sei bravo, ma piuttosto “puoi dare di più”». —

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