Settant’anni fa nasceva la Jugoslavia di Tito e calò la cortina di ferro

Il professor Sereni rilegge il significato di questa ricorrenza: le nuove repubbliche tacciono, per il Friuli fu confine crudele

UDINE. Il 7 marzo del 1945 nasce il primo governo della Democrazia federale di Jugoslavia. Fu indetto un referendum col quale il popolo doveva scegliere fra la monarchia o la repubblica. Si votò in favore della repubblica e Josip Broz Tito, riconosciuto capo militare della resistenza, venne nominato primo ministro. Nei 35 anni in cui fu al potere Tito riuscí a tenere insieme, con energia e determinazione, le varie etnie che abitavano la Jugoslavia, facendone uno stato unitario che si scioglierà dopo la sua morte.

Ma già nel 1943 Tito guidava un movimento partigiano a orientamento comunista che proclamò la costituzione della Repubblica degli Slavi del Sud. La successiva creazione della Repubblica di Jugoslavia fu una mossa audace con immediate conseguenze sugli equilibri internazionali.

Il maresciallo Tito diede il via a una politica di alleanza con l’Unione Sovietica, ma dopo il 1948 cominciò un progressivo distacco dalla politica di Stalin tanto che la Jugoslavia fu espulsa dal Cominform, uscendo per sempre dalla sfera di influenza politica sovietica.

«Anche se può apparire una data posticcia, il 7 marzo 1945 – sostiene il professor Umberto Sereni, docente di Storia contemporanea all’Università di Udine – impresse una accelerazione perché di fatto diede la conferma del primato di Tito nell’ambito dei movimenti di opposizione al nazifascismo e lo accreditò agli occhi degli Alleati come il piú sicuro uomo su cui puntare per la guerra a quello che rimaneva dell’Asse».

Tito godeva, sul piano internazionale, di un grande credito per la resistenza armata ai tedeschi e aveva come obiettivo la penetrazione del confine occidentale.

Le nostre popolazioni di confine, nel primo periodo successivo alla fine della guerra, vissero momenti difficili e tragici. La Jugoslavia si riteneva il braccio armato dell’offensiva del comunismo in Europa e l’area di confine diventava una zona ad alta tensione nevralgica sulla quale si concentravano attenzioni, mire, strategie delle grandi potenze mondiali.

Dal punto di vista degli italiani che vissero quelle vicende, la data del 7 marzo 1945, assume una identità tragica e funesta. «Succede spesso – afferma il professor Sereni – e nelle operazioni di memoria condivisa questa è sicuramente una pagina che contiene dolore, recriminazioni, accuse».

Ancor prima che Churchill evocasse l’immagine della cortina di ferro, che difendeva il mondo libero dal pericolo comunista che proveniva dall’est, si rievocavano le invasioni, i saccheggi e le conquiste che nella storia erano arrivate proprio da oriente. «Fu cosí fino al 1948 – dice il professor Sereni – quando il monolite comunista si ruppe perché la Jugoslavia di Tito prese le distanze dall’Unione Sovietica di Stalin. Le carte si rimescolarono fino al punto che non fu sempre facile capire da che parte stare. Tito, Stalin, Churchill, re Pietro, Gilas, Roosevelt, Togliatti, Cucchi, Magnani, Vidali, nomi di una storia che oggi ci sembra passata senza lasciare orme».

Con i contrasti che ci sono attualmente nel mondo e con le divisioni e fratture che dominano quella che era la Jugoslavia, era facile profetizzare che l’anniversario del 7 marzo 1945 trascorresse senza suscitare particolare attenzione. Invece è giusto ricordare perché queste vicende hanno direttamente riguardato il Friuli Venezia Giulia e il pericolo che ha sovrastato la nostra frontiera come una spada di Damocle.

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