Sgarbi: «Caravaggio? Non sciolgo l’enigma»

Sul “San Francesco in estasi”, custodito a Udine e ora in mostra a Miradolo, il critico è dubbioso

PINEROLO. «Questo San Francesco, quand’ero ragazzo, era considerato unanimemente di Caravaggio, poi ad Hartford (negli Usa, . ndr) ne è venuta fuori una copia più finita e oggi cade in dubbio». Così Vittorio Sgarbi si approccia al San Francesco in estasi proveniente da Udine, esposto nella emozionante mostra “Caravaggio e il suo tempo”, curata dallo stesso Sgarbi con Antonio D’Amico e inaugurata  al Castello di Miradolo, splendida località collinare vicino Pinerolo, nel cuore del Piemonte.

Lo fa in piena notte, alle cinque del mattino, concedendoci una visita notturna privilegiata al termine del suo spettacolo di due ore e mezza al Teatro Carcano di Milano, con un’energia che pare inesauribile (tra Milano e Miradolo è riuscito a infilare anche una visita a Berlusconi). E lo fa anche in virtù del particolare affetto che lo lega a Udine e ai friulani, che attendono il suo responso.

L’opera udinese, proveniente dalla parrocchia di San Giacomo di Fagagna, ma custodita dal 1911 nei Civici Musei del Castello, compare accanto ad altri quarantadue dipinti di altissima qualità, realizzati da Caravaggio e dai cosiddetti pittori caravaggeschi, in un percorso inteso a valorizzare la diffusione del linguaggio realistico del travagliato artista, dopo la sua morte infame. Il noto critico lo scruta da vicino, si ritrae e poi si sofferma sui particolari delle pennellate.

Allora, professore, cosa ne pensa? «Guarda in che condizioni è - dice rivolto al suo restauratore di fiducia - non mi paiono buone. Che facciamo? Anche qui c'è un ritocco abbastanza forte». «È un po’ ammalorato - risponde il restauratore - il tessuto pittorico è sgranato. Ci sono delle imprecisioni e indecisioni nelle pennellate. Bisognerebbe capire se sono dei ritocchi fatti successivamente oppure se sono suoi».

Ma allora cosa diciamo ai friulani? «Diciamo - riprende Sgarbi - che non è male, ma non ci si può sbilanciare. Bisognerebbe comunque guardarlo in un confronto diretto con il quadro di Hartford».

Realizzato tra il 1606 e il 1607, quando Caravaggio era ancora in vita - fuggiasco da Roma dopo l’omicidio - e donato con lascito testamentario al friulano Ruggero Tritonio dal banchiere ligure Ottavio Costa, uno dei protettori del Caravaggio, il dipinto viene definito giustamente “controverso”. E riapre il complesso discorso legato alle repliche o copie coeve dei dipinti del famoso autore lombardo.

Del dipinto udinese esistono almeno quattro versioni, ma quella di Udine è l'unica sicuramente coeva e fedele, come dimensioni, a quella americana, considerata da una parte della critica il vero originale. E nel testamento del Tritonio l'opera udinese è citata come «segno dell'arte divina del Caravaggio».

Un enigma insomma, un rebus, così come era stato definito nel painting focus organizzato in castello dall'Università di Udine nel 2014 con i risultati delle indagini diagnostiche. «Non credo alle indagini diagnostiche - tuona Sgarbi - Sono solo un modo per far spendere soldi. Conta di più l'occhio del conoscitore». In ogni caso il quadro rimarrà ancora a lungo «tra quei che son sospesi», a meno di non realizzare un confronto ravvicinato.

Intanto Sgarbi non manca di portare l'attenzione anche su altre questioni, meno filologiche ma più preoccupanti.

«La giornata di oggi è triste - ha detto nel discorso inaugurale alludendo al clamoroso furto nel Museo di Castelvecchio di Verona -. È capitato ciò che non si poteva immaginare capitasse. La mutilazione di un museo, con il furto di opere capitali. Un furto incomprensibile perché le opere sottratte non si possono vendere, ma solo distruggere. Non escludo che si tratti di un’iniziativa di impronta terroristica».

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