Sul Sentiero della salvia, poi l’arrivo in barca a Trieste. E ritornano in mente i racconti dei pescatori

Ultima tappa della camminata dai monti: da Sistiana a Miramare. La fotografa carnica: «Ritorno in luoghi sospesi tra mare e terra»

Trieste non è un miraggio. Trieste è qui, davanti a noi. Ci siamo arrivati dal mare, prendendo il battello a Grignano, sotto il Castello di Massimiliano e Carlotta. Trieste è un’apparizione, bella e scontrosa alla luce livida dell’incombente temporale.

Umberto Saba, Svevo, Joyce l’hanno riempita di aggettivi. Ci accoglie indifferente al molo Bersaglieri, noi siamo pieno di gioia. Ci arriviamo dai sentieri, abbiamo assaggiato la Trieste selvatica di Luigi Nacci. Il poeta viandante invita a infilarsi gli scarponi per scoprirla davvero.

È quello che piace a noi. Da Sistiana abbiamo attraversato la strada Costiera e imboccato il Sentiero della salvia, sopra Aurisina. Profumatissimo di lavanda, le rocce scavate, le bacche di ginepro, i pini neri piegati dalla bora. Santa Croce.

La vedetta Slataper con la Rosa dei venti, verso Prosecco. Prima di Contovello siamo scesi lungo mura a secco e scalini vetusti alla stazioncina di Miramare. Siamo entrati nel parco. Barcola, la strada Napoleonica, il monte Grisa, il mitico Faro della Vittoria li abbiamo visti dall’acqua, imbarcandoci a Grignano Mare sul battello Delfino Verde, che fa servizio due mesi l’anno.

Privilegi d’agosto. Ulderica Da Pozzo, fotografa del cammino, è la nostra voce di questa tappa: i sentieri dei pescatori di Santa Croce le hanno risvegliato i ricordi. (a.b.)



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Cammino e fotografo in luoghi che ho già frequentato, sospesi fra mare e terra. Mentre salgo verso Santa Croce e poi ridiscendo verso il mare, mi tornano in mente i racconti dei pescatori. Racconti che avevo raccolto con la videocamera e che poi avevo pubblicato nel mio libro fotografico Fra mare e terra. Pescatori e paesaggi culturali del Friuli Venezia Giulia (Forum 2008).

Al Villaggio del Pescatore avevo aspettato che ritornassero dal mare e Italo Minca mi aveva raccontato del paese, nato negli anni Cinquanta. Un villaggio di profughi istriani dalmati.

«Siamo rimasti noi, i figli dei profughi. Sono sparite le tradizioni. Finché c’erano i vecchi, le mantenevano. Qui erano sei, sette villaggi dell’Istria raggruppati in uno unico; ognuno cercava di mantenere le proprie origini, culture, tradizioni.

Nel 1989 eravamo 890 abitanti, oggi saremo forse in 250. Dove sono finiti i giovani? Non c’è nulla. Si facevano il cinema, il teatro, c’erano il coro, la scuola di musica. Non mancava niente, ho passato la più bella infanzia».

Dal mare ai borghi sopra la roccia. Arriviamo a Santa Croce. Qui avevo incontrato Felice Tretiach dentro la sua casa fresca. Una lunga intervista. Poi eravamo scesi al mare ai “Filtri”, a fare la foto in barca con il nipote. Mi aveva raccontato di essere l’ultimo pescatore di Santa Croce.

«Quello che ho visto io non lo vedrà più nessuno». Scendendo al mare sulla scalinata di pietra, ho pensato alle sue parole, al racconto per immagini che mi aveva fatto. Lui ragazzo insieme a dieci-venti pescatori, che gli raccontavano di una volta.

«Mi par di vederli che i conta, io ero il più giovane, non parlavo, solo ascoltavo... Nessuno vedrà mai più le donne, anche trenta, che la mattina venivano giù e compravano il pesce e lo portavano a vendere a Trieste, sul Carso fin oltre il confine con il cesto in testa, nessuno vedrà più Jonna, la Genja, la Maria, la Tonca. Il più bel ricordo è aver pescato l’ultimo tonno di Santa Croce. Avevo ventidue anni».

E così mentre sento sotto i piedi la pietra diventare lucida e nera, le vedo anche io quelle donne, e mi ricordo di Valentino Zaccaria detto Babic, che avevo incontrato ad Aurisina.

Dopo avermi mostrato il modellino di zoppolo che aveva fatto lui , un modellino perfetto della barca che usavano per la pesca del tonno, in una casa che era un museo del ricordo, mi aveva raccontato: «C’erano cinque tonnare e anche di più, nei mesi estivi il tonno veniva su nel golfo e faceva il suo lavoro, veniva su a branchi e deponeva le uova.

Per avvistarli, ogni tonnara aveva sei pescatori. Usavano una rete enorme per circondare il branco e avevano su in monte tre spie. Una centrale, una dalla parte destra, e una dalla parte sinistra, a 50, anche 60 metri di dislivello. Tutto il giorno erano lì ad aspettare l’arrivo dei branchi, dipendeva dal tempo, perché bisognava avere un mare calmo, una bella giornata di sole».

Le tonnare hanno pescato fino al 1956, poi i tempi sono cambiati. Rimangono le fotografie, i modellini di Valentino, e questa aria di mare, che mentre scendo e cammino sui passi dei passi, dove hanno camminato i pescatori, le donne con i cesti, mi porta le voci, e il profumo perfetto della vita che c’era sulla via degli angeli. —
 

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