Teatro, otto attrici si mettono a nudo per un pubblico solo al femminile
La regista di“Svelarsi”, sabato al Palamostre di Udine: «Siamo condizionate dagli sguardi maschili»

Solo corpi femminili, per una platea solo femminile. “Svelarsi” è il titolo dello spettacolo in scena sabato 2 dicembre, alle 20.30, al Teatro Palamostre di Udine, nella stagione di Teatro Contatto, “Nature Future”.
Il percorso di ricerca che si rivolge a un pubblico esclusivamente di donne, trans e non binarie e a tutte quelle che si sentono e si definiscono donne, è scritto e diretto da Silvia Gallerano che, dopo l’esperienza dello spettacolo “La merda”, applaudito per 10 anni nei teatri di tutta Italia, indaga nuovamente le verità rivelate anche dal mettersi nude in scena.
In scena otto attrici: Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini e la stessa regista e attrice, a cui chiediamo di introdurci a uno spettacolo che osa e sperimenta per scardinare i nostri stessi punti di vista.
Come e per quanto tempo ha lavorato con le sue attrici e come si è sviluppato il processo creativo per raggiungere a questo grado di intimità, empatia e di fiducia?
«Ci siamo incontrate durante il primo laboratorio che ho fatto a Roma che partiva dal testo La Merda e dal desiderio di condividere il lavoro sul corpo femminile e lo svelamento della sua contrizione e potenza repressa, attraverso lo strumento della condivisione e della nudità.
Si è subito creata una grande intesa e abbiamo deciso di andare avanti ad esplorare le tematiche emerse. Dopo tre laboratori abbiamo invitato delle spettatrici e abbiamo avuto la conferma che il nostro lavoro doveva essere portato avanti e condiviso.
A questo punto abbiamo avuto la fortuna di incontrare la compagnia Teatro di Dioniso, che con incredibile tenacia ci ha accompagnato e reso possibile la realizzazione di questo oggetto che è a metà tra lo spettacolo e l’happening».
La scelta di aprire lo spettacolo a un pubblico di sole donne o a chi si sente tale, ha a che fare con il pudore? Con la volontà di creare uno spazio sicuro per chi guarda e chi è guardato?
«All’inizio è stato quasi un caso, abbiamo deciso di invitare altre donne per cominciare. Quello che ci ha colpito è stato che le donne che assistevano ci rimandavano un’esperienza diversa da quella che avrebbero avuto accanto a degli uomini.
Questa cosa ci ha colpito e interrogato, siamo volute andare a indagare perché siamo così condizionate da uno sguardo maschile, predatore e oggettivante, che evidentemente abbiamo introiettato e che ci accorgiamo di poter non avere solo se siamo da sole, tra di noi. Più che uno spazio sicuro per chi agisce, abbiamo deciso di salvaguardare uno spazio sicuro per chi guarda».
Hai mai immaginato o hai già in mente di creare un lavoro analogo con attori maschi rivolto a una platea di uomini o di chi si sente tale?
«Non dovrei farlo io. Dovrebbero farlo degli uomini. Credo che sarebbe molto bello e utile che ci si cominciasse a interrogare sul maschile a partire dal corpo e dai condizionamenti che subisce.
Mi piacerebbe molto che partisse un progetto parallelo al nostro, per aprire un dialogo. Ma noi parliamo di donne perché abbiamo un vissuto da corpo di donne, non posso prendere la parola per chi ha un altro corpo».
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