«Teddy Reno mi propose un contratto e disse: adesso ti chiamerai Dino»

Oggi al Mulino di Reana del Rojale si cena con Dino (nome d'arte di Eugenio Zambelli), che si esibirà live in un format che prevede suoi grandi successi e un omaggio ai Beatles. «Ho accettato molto...
Di Alberto Zeppieri

Oggi al Mulino di Reana del Rojale si cena con Dino (nome d'arte di Eugenio Zambelli), che si esibirà live in un format che prevede suoi grandi successi e un omaggio ai Beatles.

«Ho accettato molto volentieri l'invito - confessa l'artista - perché il Friuli è un territorio dove mi sono esibito raramente nella mia carriera, sin dal debutto agli inizi degli anni 60».

- All'epoca non c'erano i talent televisivi. Ci racconta come si faceva?

«Si doveva incontrare un talent-scout. A me è successo nel 1963, quando con la band dei Kings vinsi la seconda edizione del Festival degli sconosciuti di Ariccia, che vide l'anno prima trionfare Rita Pavone. Teddy Reno mi propose un contratto con l'Arc (poi Rca), battezzandomi Dino. Poi arrivarono il Cantagiro (partecipai a varie edizioni), il Disco per l'Estate...».

- E naturalmente Sanremo, dove lei ben figurò nel 1968 con Gli occhi miei. Tra il suo festival e quello appena concluso che raffronti si possono fare?

«Parliamo di due mondi completamente diversi: negli ultimi tempi è cambiato tutto. Allora si privilegiava soprattutto la canzone italiana e in particolar modo la melodia, che ancora ci distingue nel mondo. Ora la peculiarità del festival consiste soprattutto nel mix tra spettacolarità, danza, attualità, comicità e la massiccia presenza di super-ospiti (anche e soprattutto internazionali), ma la melodia e la canzone sono passate in secondo piano. Brani degli anni 60 e 70 si cantano ancora adesso, mentre si fa fatica a ricordare oggi chi ha vinto l'edizione precedente».

- Infatti nel '68 si affermò Canzone per te di Sergio Endrigo. Lei lo conosceva bene?

«Endrigo era un gentiluomo d'altri tempi. A me aveva regalato la canzone Te lo leggo negli occhi che fu il mio secondo 45 giri, poi ripresa da Giorgio Gaber e successivamente anche da Franco Battiato».

- Che dire delle cover che a sua volta lei si è trovato a incidere?

«Negli Sessanta adattare nella nostra lingua successi stranieri, in particolare d'oltre Manica, era quasi un must. Ho avuto il privilegio di cantare in italiano i Beatles (che riproporrò al Mulino di Reana accompagnato alle chitarre acustiche da Marco Bonino dei Nuovi Angeli e da Slep, due amici sinceri e autentici beaters), poi Steve Wonder con Il sole è di tutti e Simon e Garfunkel con La tua immagine (cover di The sound of silence). Ma alcuni grandi artisti planetari, come Paul Anka, mi avevano addirittura regalato brani inediti».

- A volte è successo l'opposto: big mondiali hanno ripreso canzoni lanciate da lei...

«Beh sì, è successo anche questo. In particolare con Tom Jones che ripropose Gli occhi miei facendola diventare Help Yourself».

- Non s'è fatto mancare nulla, da arrangiatori come Ennio Morricone a registi come Ettore Scola. Nessun rimpianto?

«All'epoca dissero che ero pazzo a rifiutare la parte di protagonista in un film di Luchino Visconti. Mi consolo perchè Vaghe stelle dell'orsa non è annoverato tra i suoi lavori più importanti».

- Tra i cantanti di oggi c'è chi ha raccolto qualche eredità?

«Amo Marco Mengoni. È uno che scrive bene, ma soprattutto sa dare grande valore alle cose che canta».

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